Misteri e storie di Venezia
San Marco e le sue reliquie
Per i veneziani il 25 aprile è ricorrenza assai più antica dell'attuale festa nazionale. Vi cade infatti il giorno di San Marco, patrono della città.
Storia tramanda che le cui reliquie, che si trovavano in terra islamica ad Alessandria d'Egitto, furono avventurosamente traslate a Venezia nell'anno 828. In parole spiccie si narra che due leggendari mercanti veneziani, Buono da Malamocco e Rustico da Torcello, rubassero le reliquie del santo.
Si tramanda che per trafugare ai Musulmani il prezioso corpo (l'Islam riconosce e venera a sua volta Cristo e i Santi), i due astuti mercanti lo abbiano nascosto sotto una partita di carne di maiale, che passò senza ispezione la dogana a causa del noto disgusto per questa derrata imposto ai seguaci del Profeta.
Va ricordato che in quei tempi (e in parte ancor oggi) le reliquie erano un potente aggregatore sociale; inoltre attiravano pellegrini e contribuivano a innalzare il numero della popolazione nelle città, effetto molto importante per un urbanesimo agli albori che stentava ad affermarsi sulle popolazioni prevalentemente rurali.
Ogni reliquia era quindi bene accetta assieme a chi la recava e quella di San Marco lo fu particolarmente. Si racconta, infatti, che proprio quel Santo, mentre era in vita, avrebbe evangelizzato le genti venete divenendone Patrono ed Emblema sotto forma di leone alato.
Alato, armato di spada e munito di un libro sul quale, in tempo di pace, si poteva leggere la frase Pax Tibi Marce Evangelista Meus (Pace a Te o Marco Mio Evangelista); un libro che veniva minacciosamente chiuso quando la spada, anziché cristianamente discriminare il bene dal male, si arrossava di sangue guerriero. Una statua del Leone con il Libro aperto è presente in tutti i domini che furono della Serenissima, a sancirne il patto di alleanza.
La commemorazione è oggi ridotta al solo 25 aprile, data della morte del Santo, ma ai tempi della Serenissima si festeggiava anche il 31 gennaio (dies translationis corporis) e il 25 giugno, giorno in cui nel 1094 dogante Vitale Falier avvenne il ritrovamento delle reliquie del Santo nella Basilica di S.Marco.
venerdì, luglio 20, 2007
venerdì, luglio 13, 2007
Misteri e storie di Venezia
I Templari ed il Santo Graal
In epoca templare Venezia era uno dei porti più importanti, non solo dal punto di vista commerciale. Infatti, da lì confluivano pellegrini e crociati diretti in Terrasanta e in altri luoghi di pellegrinaggio come Roma e San Giacomo di Compostela.
I rapporti di alleanza tra Templari e veneziani rendevano quanto mai importanti da un punto di vista strategico le precettorie templari a Venezia.
Per non intralciare il commercio della Serenissima Repubblica furono allestite navi solo per il trasporto dei pellegrini. Inoltre Venezia istituì una speciale magistratura e un “Codex Peregrinorum” per tutelare i viandanti e ben 135 ospitali furono attivati a Venezia.
La repubblica di Venezia disponendo di una grande flotta navale era l’unica potenza in grado di fornire le navi per trasportare cavalieri, cavalli e viveri fino la Terrasanta. Fu così che la Serenissima guidata dal Doge Enrico Dandolo divenne la protagonista della IV^ Crociata, indetta da Papa Innocenzo III.
Quando i Crociati giunsero a Venezia fecero le loro richieste. Il doge Enrico Dandolo, dopo aver consultato il Consiglio dei Dieci, approvò il patto e inviò il trattato al Papa Innocenzo III affinché lo ratificasse.
Tuttavia, i veneziani si erano assunti un impegno molto gravoso dal punto di vista economico e i crociati non si erano altrettanto attenuti alle scadenze di pagamento. Ormai i crociati iniziarono a confluire nell’Isola del Lido, Dandolo minacciò di sequestrarli fino al pagamento del debito, ma non fu sufficiente per recuperare la somma di denaro. Fu così che il doge propose, appoggiato dai crociati, di recuperare Zara e altri territori dell’Adriatico, da tempo contese dai re d’Ungheria.
L’8 ottobre 1202 la flotta salpò alla volta di Zara, ma prima riconquistò Trieste, Muggia e Umago. Arrivati a Zara dopo cinque giorni di resistenza la città dovette arrendersi. Questo costò ai veneziani la scomunica da parte del papa. La flotta ripartirà alla volta di Costantinopoli.
Il 12 aprile 1204 i crociati presero d’assalto la città, ed elessero imperatore Baldovino IX delle Fiandre. Per tre giorni la città verrà incendiata e saccheggiata, molti tesori e reliquie verranno portati in occidente, ai veneziani spetterà più di un terzo della città, ma costerà la vita al doge Enrico Dandolo che sarà sepolto presso la Chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli.
Tra i vari tesori e le varie reliquie di cui i veneziani fecero incetta a Bisanzio, durante questa IV^ Crociata si ricordano, in particolare i quattro cavalli in rame presenti sulla Basilica di San Marco e che tradizione vuole avessero al posto degli occhi degli splendidi rubini. Si sa ancora che da Costantinopoli sarebbe provenuta la Corona di Spine di Gesù che Luigi IX di Francia riuscì a sottrarre alla città per portarla in Francia, presso la Sainte Chapelle. Si mormora, infine, che anche il Graal, come bottino di quella crociata, volgesse il suo mistico cammino verso Venezia.
La tradizione lo vuole nascosto nel trono di San Pietro, il sedile ove si sarebbe davvero seduto l’Apostolo durante i suoi anni ad Antiochia. Il trono è costituito da una stele funeraria mussulmana e decorato con i versetti del Corano oggi presente nella chiesa di San Pietro in Castello.
Si narra che in qualche maniera poi sarebbe stato trasferito successivamente a Bari, città legata a quella veneta da interessanti tradizioni comuni come il santo Nicola ,di cui due città si spartirono le sacre reliquie. Alcune tradizioni locali, poi, vogliono che nella chiesa di San Barnaba fosse stato seppellito il corpo mummificato di un cavaliere crociato francese dal nome di Nicodemè de Besant-Mesurier, legato alla vicenda della traslazione della mistica coppa ritrovato nella zona nel 1612. In realtà non sono mai stati trovati documenti che parlassero di questo cavaliere.
I Templari ed il Santo Graal
In epoca templare Venezia era uno dei porti più importanti, non solo dal punto di vista commerciale. Infatti, da lì confluivano pellegrini e crociati diretti in Terrasanta e in altri luoghi di pellegrinaggio come Roma e San Giacomo di Compostela.
I rapporti di alleanza tra Templari e veneziani rendevano quanto mai importanti da un punto di vista strategico le precettorie templari a Venezia.
Per non intralciare il commercio della Serenissima Repubblica furono allestite navi solo per il trasporto dei pellegrini. Inoltre Venezia istituì una speciale magistratura e un “Codex Peregrinorum” per tutelare i viandanti e ben 135 ospitali furono attivati a Venezia.
La repubblica di Venezia disponendo di una grande flotta navale era l’unica potenza in grado di fornire le navi per trasportare cavalieri, cavalli e viveri fino la Terrasanta. Fu così che la Serenissima guidata dal Doge Enrico Dandolo divenne la protagonista della IV^ Crociata, indetta da Papa Innocenzo III.
Quando i Crociati giunsero a Venezia fecero le loro richieste. Il doge Enrico Dandolo, dopo aver consultato il Consiglio dei Dieci, approvò il patto e inviò il trattato al Papa Innocenzo III affinché lo ratificasse.
Tuttavia, i veneziani si erano assunti un impegno molto gravoso dal punto di vista economico e i crociati non si erano altrettanto attenuti alle scadenze di pagamento. Ormai i crociati iniziarono a confluire nell’Isola del Lido, Dandolo minacciò di sequestrarli fino al pagamento del debito, ma non fu sufficiente per recuperare la somma di denaro. Fu così che il doge propose, appoggiato dai crociati, di recuperare Zara e altri territori dell’Adriatico, da tempo contese dai re d’Ungheria.
L’8 ottobre 1202 la flotta salpò alla volta di Zara, ma prima riconquistò Trieste, Muggia e Umago. Arrivati a Zara dopo cinque giorni di resistenza la città dovette arrendersi. Questo costò ai veneziani la scomunica da parte del papa. La flotta ripartirà alla volta di Costantinopoli.
Il 12 aprile 1204 i crociati presero d’assalto la città, ed elessero imperatore Baldovino IX delle Fiandre. Per tre giorni la città verrà incendiata e saccheggiata, molti tesori e reliquie verranno portati in occidente, ai veneziani spetterà più di un terzo della città, ma costerà la vita al doge Enrico Dandolo che sarà sepolto presso la Chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli.
Tra i vari tesori e le varie reliquie di cui i veneziani fecero incetta a Bisanzio, durante questa IV^ Crociata si ricordano, in particolare i quattro cavalli in rame presenti sulla Basilica di San Marco e che tradizione vuole avessero al posto degli occhi degli splendidi rubini. Si sa ancora che da Costantinopoli sarebbe provenuta la Corona di Spine di Gesù che Luigi IX di Francia riuscì a sottrarre alla città per portarla in Francia, presso la Sainte Chapelle. Si mormora, infine, che anche il Graal, come bottino di quella crociata, volgesse il suo mistico cammino verso Venezia.
La tradizione lo vuole nascosto nel trono di San Pietro, il sedile ove si sarebbe davvero seduto l’Apostolo durante i suoi anni ad Antiochia. Il trono è costituito da una stele funeraria mussulmana e decorato con i versetti del Corano oggi presente nella chiesa di San Pietro in Castello.
Si narra che in qualche maniera poi sarebbe stato trasferito successivamente a Bari, città legata a quella veneta da interessanti tradizioni comuni come il santo Nicola ,di cui due città si spartirono le sacre reliquie. Alcune tradizioni locali, poi, vogliono che nella chiesa di San Barnaba fosse stato seppellito il corpo mummificato di un cavaliere crociato francese dal nome di Nicodemè de Besant-Mesurier, legato alla vicenda della traslazione della mistica coppa ritrovato nella zona nel 1612. In realtà non sono mai stati trovati documenti che parlassero di questo cavaliere.
lunedì, luglio 02, 2007
Storie di Venezia...
Lo sposalizio col mare
Il giorno dell`Ascensione a maggio a Venezia si celebra la Festa de la Sensa. E` una festa di origini antichissime che celebra il matrimonio di Venezia col mare.Una volta era il Doge che, a bordo del Bucintoro (la barca regale), seguito da un corteo d´imbarcazioni, si portava all´imboccatura di porto del Lido; là il Vescovo di Olivolo (Castello) benediceva le acque marine in segno di pace e gratitudine. Al giorno d´oggi la Festa della Sensa continua a sopravvivere seppur in forma minore. Il Sindaco nel giorno dell´Ascensione raggiunge, a bordo della "BIssona Serenissima" usata nel Corteo della Regata Storica, la bocca di porto di San Nicolò al Lido per lanciare, affiancato dalle barche a remi delle Società di Voga veneziane, la vera d´oro che ancor oggi simboleggia l´eterna unione tra Venezia e il Mare.
La Festa della Sensa commemora due vittorie veneziane, lontane una dall`altra di quasi due secoli: una navale ed una diplomatica, comunque legate tra loro.
La prima risale all`impresa del Doge Pietro Orseolo II , partito il 9 maggio dell`anno 1000 , giorno dell`Ascensione, in aiuto delle popolazioni della Dalmazia minacciate dagli Slavi. Questo è l`inizio del lento cammino intrapreso da Venezia per il dominio del Mare Adriatico, al quale tendeva fin dalle sue origini non tanto per motivi di conquista, quanto per ragioni di vita. L`arresto dell` espansione slava permise alla Repubblica di giungere questo suo obiettivo ed il possesso territoriale diventa ormai superfluo, tanto che le città dalmate danno ormai blandi tributi, regolati secondo le proprie risorse naturali ed economiche.
A ricordo dell`ardua impresa si dà inizio alla celebrazione della Festa della Sensa, limitata alla sola benedizione del Mare: è un rito esclusivamente propiziatorio, dal cerimoniale semplice e modesto.
Quest`ultimo diviene più complesso e sfarzoso quando con la stessa festa si ricorda l`altra vittoria veneziana, quella diplomatica. Siamo ora nell`anno 1177, le due massime autorità europee firmano a Venezia la pace che pone fine alla secolare lotta tra Papato e Impero: mediatore tra Papa Alessandro III e Federico Barbarossa è il doge Sebastiano Ziani.
Il Papa riconoscente ai veneziani, colma la città di doni e consegna al Doge Ziani un anello benedetto pronunciando le parole: " Ricevilo in pegno della sovranità che Voi ed i successori Vostri avrete perpetuamente sul Mare" e, secondo alcuni letterati del tempo, si precisava anche un invito a nozze "... lo sposasse lo Mar si come l`omo sposa la dona per esser so signor" . E così l`iniziale visita al mare e la sua benedizione si trasformano in un atto di investitura e di possesso: ormai il dominio veneziano dell`Adriatico è riconosciuto dalle due massime potenze europee del tempo. Da allora il giorno de la Sensa viene gettata la vera d`oro al mare a sancire lo sposalizio benedetto dal Papa.
Inoltre Papa Alessandro III concesse indulgenze a tutti coloro che avessero visitato la Basilica di San Marco negli otto giorni dopo la Festa della Sensa. Questo fatto portò in citta` una folla da ogni dove, tanto che la Repubblica, con mossa accorta ed intelligente, decise fin dal 1180 di istituire una fiera campionaria dove venivano esposti i prodotti del migliore artigianato locale insieme alle pregiate merci d`Oriente, e proprio per l`importanza economico-sociale che la fiera racchiudeva in sè, si scelse come luogo d`esposizione lo spazio prestigioso di Piazza San Marco. Quando si dice che i veneziani c`hanno il commercio nel sangue!
All’inizio le merci erano esposte in baracche di legno riparate da tende; dal 1307 si decide di chiudere l’esposizione in una specie di recinto del quale si occupa lo stesso Sansovino nel 1534. Nel 1777 il recinto è trasformato dall’architetto Bernardino Maccaruzzi in un grande edificio di legno a forma ellittica, diviso in quattro settori, a doppio porticato: nel porticato interno, al riparo dalle intemperie, le merci più rare e fini, in quello esterno i prodotti dell’artigianato minore. Questa costruzione era ammirata in modo particolare per la praticità del montaggio, scomponibile in tre giorni e ricostruibile in cinque; ma le sue colonne, rivestite di carta e dipinte a simulare il marmo, suggeriscono al popolo questo epigramma: "Archi de legno e colonnami in carta, idee de Roma e povertà de Sparta".
venerdì, giugno 29, 2007
Misteri e storie di Venezia...
La festa del Bocòlo...2
Sempre sulla Tradizione di donare un bocciolo di rosa il giorno di San Marco alla propria bella: vi avevo detto che di storie ce n`erano due!
Secondo l`altra leggenda la tradizione del bocolo discende invece dal roseto che nasceva accanto la tomba dell`Evangelista. Il roseto sarebbe stato donato a un marinaio della Giudecca di nome Basilio quale premio per la sua grande collaborazione nella trafugazione delle spoglie del Santo.
Preso e piantato nel giardino della sua casa il roseto alla morte di Basilio divenne il confine della proprietà suddivisa tra i due figli. Avvenne in seguito una rottura dell`armonia tra i due rami della famiglia (fatto che sempre secondo le narrazioni fu causa anche di un omicidio), e la pianta smise di fiorire.
Un 25 aprile di molti anni dopo nacque amore a prima vista tra una fanciulla discendente da uno dei due rami e un giovane dell`altro ramo familiare. I due giovani si innamorarono guardandosi attraverso il roseto che separava i due orti.
Il roseto accompagnò lo sbocciare dell`amore tra parti nemiche coprendosi di boccoli rossi, e il giovane cogliendone uno lo donò alla fanciulla.
In ricordo di questo amore a lieto fine, che avrebbe restituito la pace tra le due famiglie, i veneziani offrono ancor oggi il boccolo rosso alla propria amata.
PS: si dice che in parte questa storia sia servita al Bardo William Shakespeare per partorire i suoi Romeo e Giulietta
La festa del Bocòlo...2
Sempre sulla Tradizione di donare un bocciolo di rosa il giorno di San Marco alla propria bella: vi avevo detto che di storie ce n`erano due!
Secondo l`altra leggenda la tradizione del bocolo discende invece dal roseto che nasceva accanto la tomba dell`Evangelista. Il roseto sarebbe stato donato a un marinaio della Giudecca di nome Basilio quale premio per la sua grande collaborazione nella trafugazione delle spoglie del Santo.
Preso e piantato nel giardino della sua casa il roseto alla morte di Basilio divenne il confine della proprietà suddivisa tra i due figli. Avvenne in seguito una rottura dell`armonia tra i due rami della famiglia (fatto che sempre secondo le narrazioni fu causa anche di un omicidio), e la pianta smise di fiorire.
Un 25 aprile di molti anni dopo nacque amore a prima vista tra una fanciulla discendente da uno dei due rami e un giovane dell`altro ramo familiare. I due giovani si innamorarono guardandosi attraverso il roseto che separava i due orti.
Il roseto accompagnò lo sbocciare dell`amore tra parti nemiche coprendosi di boccoli rossi, e il giovane cogliendone uno lo donò alla fanciulla.
In ricordo di questo amore a lieto fine, che avrebbe restituito la pace tra le due famiglie, i veneziani offrono ancor oggi il boccolo rosso alla propria amata.
PS: si dice che in parte questa storia sia servita al Bardo William Shakespeare per partorire i suoi Romeo e Giulietta
giovedì, giugno 21, 2007
Misteri e Storie di Venezia
Il Bocòlo di San Marco
Il 25 aprile a Venezia si festeggia San Marco, ossia il patrono della città. E' una festa solenne e molto sentita dai veneziani. In questa data è uso che le fidanzate in particolare e le spose ricevano dall’uomo amato l’omaggio di una rosa (“bocolo” in dialetto) di colore rosso ardente.
E’ una tradizione radicata in città che si rifà a due leggende. Una in particolare è una romantica storia d’amore e di morte che si ricollega al ciclo carolingio dell'Orlando. Questa versione è di origine sicuramente popolare, perché non suffragata da alcun puntello storico.
Vuole questa tradizione che l’usanza abbia avuto origine dallo sfortunato amore di una nobildonna Maria Partecipazio, figlia di un patrizio veneto (o addirittura di un Doge), soprannominata Vulcana, per un trovatore di nome Tancredi. Tra i due giovani l’amore è contrastato per la diversità di casta. Per superare l’ ostacolo che impedisce le nozze, Vulcana trova un espediente: convince Tancredi a partire per la guerra che l’Imperatore Carlo Magno combatte contro i Mori di Spagna.
Il giovane si distingue per il suo valore e la fama delle sue imprese giunge anche a Venezia; tuttosembra volgere al meglio, ma uno sfortunato giorno, durante una battaglia, Tancredi è ferito a morte e cade sopra un roseto che si tinge di rosso con il suo sangue. Prima di morire egli coglie un boccolo e prega Orlando di portarlo alla sua amata a Venezia. Il paladino di Carlo, fedele alla sua promessa fatta al moribondo, parte ed arriva nella Serenissima la veglia del giorno di S.Marco e consegna il fatale pegno d’amore a Vulcana che lo riceve senza lacrime, impassibile.
La sera, la fanciulla, si ritira nelle sue stanze. La mattina seguente, trovano Vulcana mortacon il bocciolo rosso posato sul cuore. Da quel giorno, prosegue la leggenda, il “bocolo” simbolo dell’ amore che sta per aprirsi alla vita, viene offerto dagli uomini veneziani alle loro amate.
Il Bocòlo di San Marco
Il 25 aprile a Venezia si festeggia San Marco, ossia il patrono della città. E' una festa solenne e molto sentita dai veneziani. In questa data è uso che le fidanzate in particolare e le spose ricevano dall’uomo amato l’omaggio di una rosa (“bocolo” in dialetto) di colore rosso ardente.
E’ una tradizione radicata in città che si rifà a due leggende. Una in particolare è una romantica storia d’amore e di morte che si ricollega al ciclo carolingio dell'Orlando. Questa versione è di origine sicuramente popolare, perché non suffragata da alcun puntello storico.
Vuole questa tradizione che l’usanza abbia avuto origine dallo sfortunato amore di una nobildonna Maria Partecipazio, figlia di un patrizio veneto (o addirittura di un Doge), soprannominata Vulcana, per un trovatore di nome Tancredi. Tra i due giovani l’amore è contrastato per la diversità di casta. Per superare l’ ostacolo che impedisce le nozze, Vulcana trova un espediente: convince Tancredi a partire per la guerra che l’Imperatore Carlo Magno combatte contro i Mori di Spagna.
Il giovane si distingue per il suo valore e la fama delle sue imprese giunge anche a Venezia; tuttosembra volgere al meglio, ma uno sfortunato giorno, durante una battaglia, Tancredi è ferito a morte e cade sopra un roseto che si tinge di rosso con il suo sangue. Prima di morire egli coglie un boccolo e prega Orlando di portarlo alla sua amata a Venezia. Il paladino di Carlo, fedele alla sua promessa fatta al moribondo, parte ed arriva nella Serenissima la veglia del giorno di S.Marco e consegna il fatale pegno d’amore a Vulcana che lo riceve senza lacrime, impassibile.
La sera, la fanciulla, si ritira nelle sue stanze. La mattina seguente, trovano Vulcana mortacon il bocciolo rosso posato sul cuore. Da quel giorno, prosegue la leggenda, il “bocolo” simbolo dell’ amore che sta per aprirsi alla vita, viene offerto dagli uomini veneziani alle loro amate.
domenica, giugno 17, 2007
Misteri e Storie di Venezia
Palazzo Mastelli e la storia dei 3 fratelli
In Campo dei Mori, Sestiere di Canareggio, c'è Palazzo Mastelli. E' facilmente riconoscibile da un bassorilievo di un cammello sulla facciata che dà verso Madonna dell'Orto.
In quel Palazzo vivevano 3 fratelli che nel lontano 1100 giunsero a Venezia dalla Morea (si suppone una regione vicina all'attuale Peloponneso), e per quello li chiamavano Mori.
I 3 fratelli erano abili mercanti di stoffe preziose ed aprirono la loro bottega alla base del Palazzo. Rioba, Afani e Sandi -così si chiamavano- erano tanto portati per gli affari che i veneziani cominciarono a chiamarli "Mastei" (ovvero "secchi", ad indicare i catini che essi sapevano riempir di monete ad ogni affare)... da qui il loro "cognome" popolare: Mastelli, che die' nome al Palazzo.
La leggenda narra che non fossero tra i commercianti più onesti e una donna rimasta vedova volle metter alla prova la loro onestà. Ella si recò dai tre fratelli chiedendo loro delle stoffe nobili per rimodernar il proprio negozio appena ereditato dal defunto marito. Era sera ed il garzone di bottega se n'era già andato.
I 3 fratelli, credendo la donna una sprovveduta e fiutando l'affare, cercarono di rifilarle stoffe di infima qualità a prezzi da broccato. Tuttavia Lei che era assolutamente pratica di sete e mercanzie del genere si accorse immediatamente della proponenda truffa.
I 3 fratelli, credendo la donna una sprovveduta e fiutando l'affare, cercarono di rifilarle stoffe di infima qualità a prezzi da broccato. Tuttavia Lei che era assolutamente pratica di sete e mercanzie del genere si accorse immediatamente della proponenda truffa.
Racconta la leggenda che la donna li maledì, pronunciando il nome di Dio e mettendo nelle loro mani delle monete.
Come i tre mercanti toccarono le monete, queste divennero di pietra e, poco dopo, medesima sorte toccò a loro stessi.
L'indomani mattina, a Campo dei Mori, il garzone trovò la bottega aperta, dei tre fratelli nemmeno l'ombra ma solo tre statue di pietra che somigliavano in tremenda maniera a Rioba, Afani e Sandi
venerdì, giugno 08, 2007
Misteri e Storie della Laguna
Il fondo dei 7 morti
E' una zona della laguna un poco più a nord di Chioggia, vicino alla riva. Il nome, assolutamente poco felice, deriva da una leggenda risalente alle epoche in cui il lavoro in mare, per i pescatori di Chioggia e Venezia, era tanto necessario quanto pericoloso.
La storia narra di 7 uomini, sette pescatori, che erano a bordo del loro bragozzo ormai da ore, intenti a lanciar le reti a mare e a ritirarle a bordo gonfie d'acqua e di pesci. Sudore, muscoli tesi e sguardi resi duri dal lavoro e dalla fatica.Ad un tratto, la rete si fa pesante: è segno che si è pescato finalmente qualcosa di degno. I volti bruciati dal sole si tendono lievi al sorriso, dopo tutto quel tempo...
OOoooissa! Oooooissa! e pian piano, con gran forza di braccia, issano le reti pesanti... ma il sorriso si spegne subito: impigliato tra le maglie c'è il corpo di un annegato. Non è la prima volta che si ritrovano a pescare il cadavere di qualche povero sventurato e, quindi, la cosa non li turba molto, se non fosse che, superstiziosi, lo prendono come rpesagio di sventura: non si liberano subito del corpo, ma lo appoggiano dentro il bragozzo, vicino all'albero.
Cominciano di nuovo a darsi da fare con le reti, i 7 uomini, ma è un attimo e il cielo si scurisce, comincia a soffiare il vento e a mugolare il tuono. In breve lampi sinistri cominciano a illuminare il cielo dell'imbrunire, fino allo sfogarsi della bufera. La piccola barca beccheggia tra le onde schiumanti ed è solo per l'abilità dei 7 che non si rovescia.La tempesta si placa quando la piccola imbarcazione raggiunge l'imboccatura di una valle da pesca e, nell'oscurità, s'intravede il lume di un casòn*, dove si supponeva si sarebbe trovato cibo e ristoro.
Invece, nel casòn, in quel momento c'è solo un ragazzino, tale Zanetto che, orfano, era stato abbandonato lì dai suoi padroni. Zanetto è in quel casòn già da qualche giorno, lui e il suo cane, in balìa di se stesso, pieno di fame, di fredo e di paura. Quando vede entrare i 7 pescatori, Zanetto si leva dal suo piccolo giaciglio, tutto speranzoso... ma la speranza dura poco quando vede i visi truci di quei 7, per i quali Zanetto sembra non esistere. Entrano, accendono un fuoco, mettono a bollire dell'acqua per far della polenta con la poca farina raccimolata. In tutto ciò nemmeno rivolgono la parola a Zanetto. La polenta è pronta: i 7 la rovesciano direttamente sul tavolo e cominciano a spartirsi il pasto fumante, mentre Zanetto dal suo angolo, stringendo il cagnolino, li guarda zitto e tremante, con l'acquolina in bocca.
Ma poi al fame fa trovar a Zanetto il coraggio. S'avvicina al tavolo e chiede d'aver una fetta di polenta. All'inizio i 7 non lo badano nemmeno, poi, quando Zanetto tenta d'allungar la mano sul tavolo, uno gli afferra il polso e gli dice: "Fermo lì, se vuoi guadagnarti la tua fett, vai in barca e chiama il nostro compagno che s'è addormentato!"
Zanetto corre fuori come un pazzo, tra le risate grasse di scherno dei 7 uomini e le loro gran pacche sulle spalle.Zanetto arriva in barca, vicino all'albero e trova l'uomo che sembra dormire del sonno dei giusti: lo squote, ma nulla. Allora torna dentro e racconta ai 7 che l'altro non ha intenzione di svegliarsi e supplicandoli di dargli qualcosa da mangiare che sta morendo di fame. Niente da fare: ancora gli dicono che deve svegliare quello in barca o nulla.
Zanetto torna in barca, scuote l'uomo, piange e supplica: "Vi prego, vi scongiuro, signore, svegliatevi! Se non venite dentro con me i vostri amici non mi daranno niente da mangiare e io sto morendo di fame!"Ed ecco che il morto volta la testa, apre gli occhi, guarda con tenerezza il ragazzo e si alza. "Va bene, entriamo -dice- fa strada tu"
Zanetto si avvia al casòn, varca la soglia e i 7 lo guardando beffardi: "E allora?" e Zanetto risponde: " Sta arrivando, adesso viene!"Gli uomini scoppiano a ridere d'un colpo solo. Ma quando alle spalle del ragazzo appare il morto, il riso di colpo muore e le facce si fanno terree. Qualcuno cade in ginocchio ed invoca pietà.
E' allora che il morto punta il dito contro i 7 e dice: "Chi fa soffrire un innocente senza ragione e non ha compassione delle disgrazie altrui, non merita misericordia e pietà. Voi siete la eprsonificazione dei sette peccati. Sia salvo il bambino che è l'innocenza, sia salvo il cane che è la fedeltà!" E puntando l'indice scarno nomina ad uno ad uno questi peccati e ad ogni peccato uno dei 7 cade a terra morto.Alla fine attorno al tavolo restano solo 7 cadaveri senza vita... Sette morti, vittime della loro stessa durezza di cuore.
*Casòn: i casoni sono le tipiche rimesse per la pesca delle lagune venete. Di solito riconoscibili per il tetto conico fatto di canne.
Il fondo dei 7 morti
E' una zona della laguna un poco più a nord di Chioggia, vicino alla riva. Il nome, assolutamente poco felice, deriva da una leggenda risalente alle epoche in cui il lavoro in mare, per i pescatori di Chioggia e Venezia, era tanto necessario quanto pericoloso.
La storia narra di 7 uomini, sette pescatori, che erano a bordo del loro bragozzo ormai da ore, intenti a lanciar le reti a mare e a ritirarle a bordo gonfie d'acqua e di pesci. Sudore, muscoli tesi e sguardi resi duri dal lavoro e dalla fatica.Ad un tratto, la rete si fa pesante: è segno che si è pescato finalmente qualcosa di degno. I volti bruciati dal sole si tendono lievi al sorriso, dopo tutto quel tempo...
OOoooissa! Oooooissa! e pian piano, con gran forza di braccia, issano le reti pesanti... ma il sorriso si spegne subito: impigliato tra le maglie c'è il corpo di un annegato. Non è la prima volta che si ritrovano a pescare il cadavere di qualche povero sventurato e, quindi, la cosa non li turba molto, se non fosse che, superstiziosi, lo prendono come rpesagio di sventura: non si liberano subito del corpo, ma lo appoggiano dentro il bragozzo, vicino all'albero.
Cominciano di nuovo a darsi da fare con le reti, i 7 uomini, ma è un attimo e il cielo si scurisce, comincia a soffiare il vento e a mugolare il tuono. In breve lampi sinistri cominciano a illuminare il cielo dell'imbrunire, fino allo sfogarsi della bufera. La piccola barca beccheggia tra le onde schiumanti ed è solo per l'abilità dei 7 che non si rovescia.La tempesta si placa quando la piccola imbarcazione raggiunge l'imboccatura di una valle da pesca e, nell'oscurità, s'intravede il lume di un casòn*, dove si supponeva si sarebbe trovato cibo e ristoro.
Invece, nel casòn, in quel momento c'è solo un ragazzino, tale Zanetto che, orfano, era stato abbandonato lì dai suoi padroni. Zanetto è in quel casòn già da qualche giorno, lui e il suo cane, in balìa di se stesso, pieno di fame, di fredo e di paura. Quando vede entrare i 7 pescatori, Zanetto si leva dal suo piccolo giaciglio, tutto speranzoso... ma la speranza dura poco quando vede i visi truci di quei 7, per i quali Zanetto sembra non esistere. Entrano, accendono un fuoco, mettono a bollire dell'acqua per far della polenta con la poca farina raccimolata. In tutto ciò nemmeno rivolgono la parola a Zanetto. La polenta è pronta: i 7 la rovesciano direttamente sul tavolo e cominciano a spartirsi il pasto fumante, mentre Zanetto dal suo angolo, stringendo il cagnolino, li guarda zitto e tremante, con l'acquolina in bocca.
Ma poi al fame fa trovar a Zanetto il coraggio. S'avvicina al tavolo e chiede d'aver una fetta di polenta. All'inizio i 7 non lo badano nemmeno, poi, quando Zanetto tenta d'allungar la mano sul tavolo, uno gli afferra il polso e gli dice: "Fermo lì, se vuoi guadagnarti la tua fett, vai in barca e chiama il nostro compagno che s'è addormentato!"
Zanetto corre fuori come un pazzo, tra le risate grasse di scherno dei 7 uomini e le loro gran pacche sulle spalle.Zanetto arriva in barca, vicino all'albero e trova l'uomo che sembra dormire del sonno dei giusti: lo squote, ma nulla. Allora torna dentro e racconta ai 7 che l'altro non ha intenzione di svegliarsi e supplicandoli di dargli qualcosa da mangiare che sta morendo di fame. Niente da fare: ancora gli dicono che deve svegliare quello in barca o nulla.
Zanetto torna in barca, scuote l'uomo, piange e supplica: "Vi prego, vi scongiuro, signore, svegliatevi! Se non venite dentro con me i vostri amici non mi daranno niente da mangiare e io sto morendo di fame!"Ed ecco che il morto volta la testa, apre gli occhi, guarda con tenerezza il ragazzo e si alza. "Va bene, entriamo -dice- fa strada tu"
Zanetto si avvia al casòn, varca la soglia e i 7 lo guardando beffardi: "E allora?" e Zanetto risponde: " Sta arrivando, adesso viene!"Gli uomini scoppiano a ridere d'un colpo solo. Ma quando alle spalle del ragazzo appare il morto, il riso di colpo muore e le facce si fanno terree. Qualcuno cade in ginocchio ed invoca pietà.
E' allora che il morto punta il dito contro i 7 e dice: "Chi fa soffrire un innocente senza ragione e non ha compassione delle disgrazie altrui, non merita misericordia e pietà. Voi siete la eprsonificazione dei sette peccati. Sia salvo il bambino che è l'innocenza, sia salvo il cane che è la fedeltà!" E puntando l'indice scarno nomina ad uno ad uno questi peccati e ad ogni peccato uno dei 7 cade a terra morto.Alla fine attorno al tavolo restano solo 7 cadaveri senza vita... Sette morti, vittime della loro stessa durezza di cuore.
*Casòn: i casoni sono le tipiche rimesse per la pesca delle lagune venete. Di solito riconoscibili per il tetto conico fatto di canne.
mercoledì, febbraio 07, 2007
Misteri e Storie di Venezia...
La fossa numero 6
Era il 1935 che a Venezia cadde ammalata Suor Vittoria Gregoris. Seppur la malattia fosse molto dura e logorante, la pia donna la sopportava con eroica pazienza ed un pizzico di buonumore. Si racconta che a chi le diceva che sarebbe morta in odore di santità, la su orina rispondeva che, semmai, sarebbe morta in odor di muffa.
Morì a 61 anni, dopo però aver turbato la vita del monastero con una frase inquietante pronunciata sul letto di morte, quando tutte le sorelle le erano radunate attorno per l’ultimo saluto: “Al momento della riesumazione, la mia salma non si troverà…”
Gli anni trascorserò, ne passarono 12, finchè le pubbliche autorità procedettero alla riesumazione nel corpo. Era il 1947. Ecco cosa scrisse il Gazzettino della Sera in quell’anno:
“La cassa non serbava nessuno resto umano della defunta religiosa: né una tibia, né le vertebre, nemmeno il cranio. C’erano soltanto, sparsi qui e là, dei minutissimi frammenti ossei polverizzati, in quantità così trascurabile quale mai si è vista nel corso di una riesumazione.”
Immaginate la faccia dei disseppellitori quando, scoperchiata la bara, che vi trovarono solo dei pezzi di velo, un po’ di stoffa e un crocifisso, ma del corpo della suora nemmeno una vaga traccia. Soprattutto s’immagini lo scompiglio in città, quando venne diffusa l’effettiva predizione fatta dalla suora in letto di morte. Subito fu battezzato come il mistero della fossa numero 6: fossa ancora esistente a San Michele in isola, ossia l’isola a nord di Venezia, visibile dalle Fondamenta Nuove, ove si trova il cimitero della città lagunare.

Spiegazione logica o evento soprannaturale? Non si saprà mai, essendo che il mistero della fossa numero 6 è rimasto a tutt’oggi irrisolto…
La fossa numero 6
Era il 1935 che a Venezia cadde ammalata Suor Vittoria Gregoris. Seppur la malattia fosse molto dura e logorante, la pia donna la sopportava con eroica pazienza ed un pizzico di buonumore. Si racconta che a chi le diceva che sarebbe morta in odore di santità, la su orina rispondeva che, semmai, sarebbe morta in odor di muffa.
Morì a 61 anni, dopo però aver turbato la vita del monastero con una frase inquietante pronunciata sul letto di morte, quando tutte le sorelle le erano radunate attorno per l’ultimo saluto: “Al momento della riesumazione, la mia salma non si troverà…”
Gli anni trascorserò, ne passarono 12, finchè le pubbliche autorità procedettero alla riesumazione nel corpo. Era il 1947. Ecco cosa scrisse il Gazzettino della Sera in quell’anno:
“La cassa non serbava nessuno resto umano della defunta religiosa: né una tibia, né le vertebre, nemmeno il cranio. C’erano soltanto, sparsi qui e là, dei minutissimi frammenti ossei polverizzati, in quantità così trascurabile quale mai si è vista nel corso di una riesumazione.”
Immaginate la faccia dei disseppellitori quando, scoperchiata la bara, che vi trovarono solo dei pezzi di velo, un po’ di stoffa e un crocifisso, ma del corpo della suora nemmeno una vaga traccia. Soprattutto s’immagini lo scompiglio in città, quando venne diffusa l’effettiva predizione fatta dalla suora in letto di morte. Subito fu battezzato come il mistero della fossa numero 6: fossa ancora esistente a San Michele in isola, ossia l’isola a nord di Venezia, visibile dalle Fondamenta Nuove, ove si trova il cimitero della città lagunare.

Spiegazione logica o evento soprannaturale? Non si saprà mai, essendo che il mistero della fossa numero 6 è rimasto a tutt’oggi irrisolto…
martedì, gennaio 16, 2007
Misteri e storie di Venezia...
Il tesoro della Serenissma
C`è un`isoletta, vicino alla bocca da porto di Sant`Andrea che oggi giorno è disabitata ed ospita un bel parco attorno ai ruderi dei tempi che furono. E` l`isola di Certosa.
Fin dal 1422, infatti, quest`isola era stata sede di monasteri e chiese di cui oggi rimangono solo pallide spoglie e decadenti vestigia. Il suo declino coincise con lo sbarco di Napoleone in terra Serenissima, nel 1797, quando cominciò a laicizzare Venezia a suo modo, facendo sbaraccare conventi e monasteri nelle isole della laguna.
L`occupazione Napoleonica di Venezia, la prima occupazione che la laguna subiva nella sua storia secolare (nemmeno Attila c`era riuscito), fu altresì pesante per la Repubblica Serenissima, si pensi che l`Imperatore dei Francesi cominciò a depredarla accuratamente e con metodo. Fece incetta di reliquiari, fondendoli presso la Zecca. Depredò l`Arsenale e la flotta marciana. Tradizione vuole che Napoleone portò a casa un gruzzoletto pari all`80% delle ricchezze veneziane dell`epoca. Insomma: uno sfacelo!
Si narra, però, che i tre senatori della repubblica marinara, che sovrintendevano al cuore mercantile e monetario della stessa, misero al sicuro le risorse auree di Venezia. Si suppone quindi un tesoro inestimabile. Così, mentre i francesi fondevano le reliquie trafugate presso la Zecca, l`oro di Venezia s`involava presso un nascondiglio segreto, in attesa di tempi migliori... che non giunsero più.
Molti dicono che questo posto coincida col "chiostro piccolo" dell`isola di Certosa, dove furono sepolti i tre Senatori. nelle loro tombe di famiglia, pertanto, leggenda vuole che giaccia ancora oggi quel che del tesoro della Serenissima fu salvato dalle grinfie napoleoniche....
...e poi ci si chiede perchè è stato così godurioso vincere i Mondiali contro la Franciaaaa????? ^__*
Il tesoro della Serenissma
C`è un`isoletta, vicino alla bocca da porto di Sant`Andrea che oggi giorno è disabitata ed ospita un bel parco attorno ai ruderi dei tempi che furono. E` l`isola di Certosa.
Fin dal 1422, infatti, quest`isola era stata sede di monasteri e chiese di cui oggi rimangono solo pallide spoglie e decadenti vestigia. Il suo declino coincise con lo sbarco di Napoleone in terra Serenissima, nel 1797, quando cominciò a laicizzare Venezia a suo modo, facendo sbaraccare conventi e monasteri nelle isole della laguna.
L`occupazione Napoleonica di Venezia, la prima occupazione che la laguna subiva nella sua storia secolare (nemmeno Attila c`era riuscito), fu altresì pesante per la Repubblica Serenissima, si pensi che l`Imperatore dei Francesi cominciò a depredarla accuratamente e con metodo. Fece incetta di reliquiari, fondendoli presso la Zecca. Depredò l`Arsenale e la flotta marciana. Tradizione vuole che Napoleone portò a casa un gruzzoletto pari all`80% delle ricchezze veneziane dell`epoca. Insomma: uno sfacelo!
Si narra, però, che i tre senatori della repubblica marinara, che sovrintendevano al cuore mercantile e monetario della stessa, misero al sicuro le risorse auree di Venezia. Si suppone quindi un tesoro inestimabile. Così, mentre i francesi fondevano le reliquie trafugate presso la Zecca, l`oro di Venezia s`involava presso un nascondiglio segreto, in attesa di tempi migliori... che non giunsero più.
Molti dicono che questo posto coincida col "chiostro piccolo" dell`isola di Certosa, dove furono sepolti i tre Senatori. nelle loro tombe di famiglia, pertanto, leggenda vuole che giaccia ancora oggi quel che del tesoro della Serenissima fu salvato dalle grinfie napoleoniche....
...e poi ci si chiede perchè è stato così godurioso vincere i Mondiali contro la Franciaaaa????? ^__*
giovedì, gennaio 04, 2007
Misteri e storie di Venezia...
Bepi del giasso, campanaro di San Lazzaro
C`è una bella isoletta in laguna nord, scampata alla ventata laicizzante portata da Napoleone in Laguna: San Lazzaro degli armeni. In quest`isoletta c`è ancora il vecchio convento di rito cattolico-armeno che, nato nel 1717 come ospizio per i pellegrini, nel 1810, fu elevato ad Accademia delle Scienze. Venezia, infatti, da Caterina Cornaro in poi, ha sempre avuto ottimi rapporti con gli armeni.
Che il convento sia scampato ai francesi è cosa rara visto che, Napoleone giunto in Venezia, tra le tante cose cominciò a smantellare i vari conventi-monasteri delle varei confraternite-sette che avevano trovato comodo rifugio e riparo nelle isolette della laguna veneziana... ma questa è un`altra storia...
Aveva 28 anni, allora, Josif Vissarionovic Djugatchsvili. Era un giovanotto che veniva dalla Russia zarista, dalla Georgia, in particolare, a cercar fortuna nel mitico Bel Paese. Aveva la barba incolta quando giuse, raccontò in seguito l`abate di San Lazzaro.Era il 1907 e nella sua Russia non aveva vita facile, essendo un esponente di primo piano di quella frangia estremista del partito socialdemocratico russo, che la storia comunemente ha poi chiamato bolscevichi.Fu, infatti, per scappare alle grinfie della polizia zarista che quell`anno riparò in Italia, partendo nascosto, di soppiatto, da una nave da carico mercantile che trasportava granaglie da Odessa ad Ancona, dove sbarcò verso la fine di febbraio.
Cominciò a lavorare come portiere d`albergo, ma col carattere chiuso e timido che si ritrovava, ben presto cambiò città, imbarcandosi nuovamente clandestino da Ancona a Venezia. Fu nella città di laguna che gli anarchici della zona lo accolsero e lo battezzarono "Bepi del giasso" (Bepi del ghiaccio), a ricordare che non veniva certo da climi tropicali.
A Venezia gli tornò utile la sua conoscenza dell`armeno e l`aver studiato alla scuola teologica di Gori e nel seminario cristiano.ortodosso di Teflis. Tanto che quando si presento a chieder ospitalità e lavoro all`abate generale di San Lazzaro, allra Ignazio Ghiurekian, Bepi poteva contare sul fatto di saper servire messa secondo i rituali latino ed ortodosso, nonchè di suonare le campane con i rintocchi richiesti da entrambe le confessioni.
Fu così che Bepi del giasso rimase per un po` a San Lazzaro degli armeni a far da camparo. Andava tutto bene, non fosse che l`abate voleva suonasse le campane secondo rito latino, mentre Bepi s`intestardì a suonarle secondo rito ortodosso.
Tutto ciò creò un certo scompliglio nella piccola isola, finchè l`abate mise Bepi dinnanzi ad una scelta: se desiderava rimanere in quell`isola che gli dava ospitalitò, doveva accettare le norme della congregazione e chiedere l`ammissione alla comunità come novizio. Non fu questa la scelta del georgiano che ripartì, lasciando Venezia.
Tornò in Russia in tempo per la rivoluzione e, qualche anno dopo, divenne ... Segretario generale del partito comunista e guida dell`Unione Sovietica col soprannome di "Piccolo Padre"...
Ebbene sì, di quel Bepi del giasso che fu per breve tempo campanaro di San Lazzaro, ne abbiamo sentito parlare tutti... ma di solito non lo si chiama per nome, Josef, ma per pseudonimo... Stalin.
...e ogni tanto vien da chiedersi perchè quell`abate non abbia chiuso un occhio e se lo sia tenuto a far da campanaro...
Bepi del giasso, campanaro di San Lazzaro
C`è una bella isoletta in laguna nord, scampata alla ventata laicizzante portata da Napoleone in Laguna: San Lazzaro degli armeni. In quest`isoletta c`è ancora il vecchio convento di rito cattolico-armeno che, nato nel 1717 come ospizio per i pellegrini, nel 1810, fu elevato ad Accademia delle Scienze. Venezia, infatti, da Caterina Cornaro in poi, ha sempre avuto ottimi rapporti con gli armeni.
Che il convento sia scampato ai francesi è cosa rara visto che, Napoleone giunto in Venezia, tra le tante cose cominciò a smantellare i vari conventi-monasteri delle varei confraternite-sette che avevano trovato comodo rifugio e riparo nelle isolette della laguna veneziana... ma questa è un`altra storia...
Aveva 28 anni, allora, Josif Vissarionovic Djugatchsvili. Era un giovanotto che veniva dalla Russia zarista, dalla Georgia, in particolare, a cercar fortuna nel mitico Bel Paese. Aveva la barba incolta quando giuse, raccontò in seguito l`abate di San Lazzaro.Era il 1907 e nella sua Russia non aveva vita facile, essendo un esponente di primo piano di quella frangia estremista del partito socialdemocratico russo, che la storia comunemente ha poi chiamato bolscevichi.Fu, infatti, per scappare alle grinfie della polizia zarista che quell`anno riparò in Italia, partendo nascosto, di soppiatto, da una nave da carico mercantile che trasportava granaglie da Odessa ad Ancona, dove sbarcò verso la fine di febbraio.
Cominciò a lavorare come portiere d`albergo, ma col carattere chiuso e timido che si ritrovava, ben presto cambiò città, imbarcandosi nuovamente clandestino da Ancona a Venezia. Fu nella città di laguna che gli anarchici della zona lo accolsero e lo battezzarono "Bepi del giasso" (Bepi del ghiaccio), a ricordare che non veniva certo da climi tropicali.
A Venezia gli tornò utile la sua conoscenza dell`armeno e l`aver studiato alla scuola teologica di Gori e nel seminario cristiano.ortodosso di Teflis. Tanto che quando si presento a chieder ospitalità e lavoro all`abate generale di San Lazzaro, allra Ignazio Ghiurekian, Bepi poteva contare sul fatto di saper servire messa secondo i rituali latino ed ortodosso, nonchè di suonare le campane con i rintocchi richiesti da entrambe le confessioni.
Fu così che Bepi del giasso rimase per un po` a San Lazzaro degli armeni a far da camparo. Andava tutto bene, non fosse che l`abate voleva suonasse le campane secondo rito latino, mentre Bepi s`intestardì a suonarle secondo rito ortodosso.
Tutto ciò creò un certo scompliglio nella piccola isola, finchè l`abate mise Bepi dinnanzi ad una scelta: se desiderava rimanere in quell`isola che gli dava ospitalitò, doveva accettare le norme della congregazione e chiedere l`ammissione alla comunità come novizio. Non fu questa la scelta del georgiano che ripartì, lasciando Venezia.
Tornò in Russia in tempo per la rivoluzione e, qualche anno dopo, divenne ... Segretario generale del partito comunista e guida dell`Unione Sovietica col soprannome di "Piccolo Padre"...
Ebbene sì, di quel Bepi del giasso che fu per breve tempo campanaro di San Lazzaro, ne abbiamo sentito parlare tutti... ma di solito non lo si chiama per nome, Josef, ma per pseudonimo... Stalin.
...e ogni tanto vien da chiedersi perchè quell`abate non abbia chiuso un occhio e se lo sia tenuto a far da campanaro...
mercoledì, dicembre 27, 2006
Misteri e storie di Venezia...
Il merletto di Burano
Viveva a Burano, nella seconda metà del XV secolo, un giovane pescatore di nome Niccolò. Era bello, prestante e dotato di un`innata gentilezza e bontà d`animo, tanto che suscitava in tutti simpatìa e tutte le giovani buranesi in età da marito gli facevano il filo.
Viveva a Burano, sempre in quegli anni, una giovane ragazza di nome Maria. Abile nell`arte del ricamo come tutte le ragazze dell`isola, Maria era nota in tutta Burano per la sua bellezza, il suo buon cuore e le sue maniere educate e gentili. Non c`era ragazzo che non se ne fosse innamorato.
Come era prevedibile Niccolò e Maria s`innamorarono perdutamente l`uno dell`altro e decisero di sposarsi.
Il giorno prima delle nozze Niccolò usci in laguna a pescare. A differenza di come faceva di solito, quel giorno uscì in barca da solo: si sa, il giorno prima delle nozze un uomo ha da pensare... in solitudine.
Era che buttava le reti in mare quando un dolce suono gli giunse. Cessò il suo lavoro e si pose in ascolto: la laguna taceva. Ricominciò ad armeggiare con le reti e pure la musica ricominciò a scivolar sulle onde: era un suono dolcissimo che gli entrava dentro e sembrava che tutto il suo corpo, tutti i suoi organi, vibrassero all`unisono con quella melodìa.
Niccolò si guardò intorno e vide la sua barca circondata da una...due..tre..cinque... sei donne meravigliose e la musica che ascoltava era il loro canto. La sua barca era incappata in un branco di sirene. La malìa del canto era profonda ed intensa, quasi quanto le bellezza di quei volti e l`incanto degli occhi delle sirene. Era come ascoltar col sangue: dentro gli ribolliva e gli si placava quieto, come rinato a nuova vita. Le sirene non dicevan nulla, sol cantavano per lui: la bellezza profonda di quel momento andava ben oltre di quanto un uomo potesse desiderare.
Eppure, pian piano, dal fondo del cuore di Niccolò cominciò a sorgere un`immagine. Un`immagine che lo prendeva ancor più in profondità di quel canto: era il volto della sua Maria. La visione si accompagnava al canto delle sirene, rendendolo ancor più dolce pur mitigandone la malìa e annullandone l`irresistibile forza, e non dava cenno di abbandonare il cuore di Niccolò.
Alla fine le sirene tacquerò improvvisamente: avevano ben capito quel che era successo, ossia d`esser state battute da una donna terrena. Non se la presero a male, anzi! Una di loro s`avvicinò alla barca di Niccolò e gli parlò: "E` talmente raro imbattersi nel potere dell`amore, che quasi avevamo scordato la luce che brilla negli occhi di chi lo vive davvero! Tieni -e gli allungò un involto d`alghe- ti facciamo questo dono e, se la tua bella merita il tuo amore come pensiamo, saprà trarne profitto!"
Niccolò tornò tosto a riva e raccontò tutto a Marìa e il giorno seguente si sposarono felici. Dentro l`involto di alghe Marìa trovò un ricamo etereo e magnifico fatto con la schiuma del mare. Dotandosi di una buona dose di testardaggine e tanta pazienza, per lunghi giorni e lunghe notti, provò a copiare quel capolavoro...finchè ci riuscì!
Nacque così il famoso Merletto di Burano!
Nota Storica:
Il merletto ad ago, che nasce a Venezia nella seconda metà del XV secolo, deriva dal ricamo, in particolare da quei punti che tendono a creare effetti di trasparenza: il punto tagliato, lo sfilato (vengono tolti alcuni fili dalla tela e poi si decorano i vuoti con vari punti), il reticello (il tessuto viene sfilato finché rimangono solo esili coordinate dalle quali si parte per creare i motivi decorativi). Questa tipologia è nota anche come "punto in aria", in quanto viene realizzata interamente con ago e filo, senza alcun supporto tessile.Il merletto ad ago si realizza su un cuscinetto cilindrico (uguale al tombolo dei fuselli) dove viene appoggiato il disegno tenuto sollevato dal murello, un piccolo cilindro di legno; seguendo i profili del disegno si esegue l’ordito (che verrà poi eliminato) sul quale si costruisce, con ago e filo, il merletto.
Il merletto di Burano
Viveva a Burano, nella seconda metà del XV secolo, un giovane pescatore di nome Niccolò. Era bello, prestante e dotato di un`innata gentilezza e bontà d`animo, tanto che suscitava in tutti simpatìa e tutte le giovani buranesi in età da marito gli facevano il filo.
Viveva a Burano, sempre in quegli anni, una giovane ragazza di nome Maria. Abile nell`arte del ricamo come tutte le ragazze dell`isola, Maria era nota in tutta Burano per la sua bellezza, il suo buon cuore e le sue maniere educate e gentili. Non c`era ragazzo che non se ne fosse innamorato.
Come era prevedibile Niccolò e Maria s`innamorarono perdutamente l`uno dell`altro e decisero di sposarsi.
Il giorno prima delle nozze Niccolò usci in laguna a pescare. A differenza di come faceva di solito, quel giorno uscì in barca da solo: si sa, il giorno prima delle nozze un uomo ha da pensare... in solitudine.
Era che buttava le reti in mare quando un dolce suono gli giunse. Cessò il suo lavoro e si pose in ascolto: la laguna taceva. Ricominciò ad armeggiare con le reti e pure la musica ricominciò a scivolar sulle onde: era un suono dolcissimo che gli entrava dentro e sembrava che tutto il suo corpo, tutti i suoi organi, vibrassero all`unisono con quella melodìa.
Niccolò si guardò intorno e vide la sua barca circondata da una...due..tre..cinque... sei donne meravigliose e la musica che ascoltava era il loro canto. La sua barca era incappata in un branco di sirene. La malìa del canto era profonda ed intensa, quasi quanto le bellezza di quei volti e l`incanto degli occhi delle sirene. Era come ascoltar col sangue: dentro gli ribolliva e gli si placava quieto, come rinato a nuova vita. Le sirene non dicevan nulla, sol cantavano per lui: la bellezza profonda di quel momento andava ben oltre di quanto un uomo potesse desiderare.
Eppure, pian piano, dal fondo del cuore di Niccolò cominciò a sorgere un`immagine. Un`immagine che lo prendeva ancor più in profondità di quel canto: era il volto della sua Maria. La visione si accompagnava al canto delle sirene, rendendolo ancor più dolce pur mitigandone la malìa e annullandone l`irresistibile forza, e non dava cenno di abbandonare il cuore di Niccolò.
Alla fine le sirene tacquerò improvvisamente: avevano ben capito quel che era successo, ossia d`esser state battute da una donna terrena. Non se la presero a male, anzi! Una di loro s`avvicinò alla barca di Niccolò e gli parlò: "E` talmente raro imbattersi nel potere dell`amore, che quasi avevamo scordato la luce che brilla negli occhi di chi lo vive davvero! Tieni -e gli allungò un involto d`alghe- ti facciamo questo dono e, se la tua bella merita il tuo amore come pensiamo, saprà trarne profitto!"
Niccolò tornò tosto a riva e raccontò tutto a Marìa e il giorno seguente si sposarono felici. Dentro l`involto di alghe Marìa trovò un ricamo etereo e magnifico fatto con la schiuma del mare. Dotandosi di una buona dose di testardaggine e tanta pazienza, per lunghi giorni e lunghe notti, provò a copiare quel capolavoro...finchè ci riuscì!
Nacque così il famoso Merletto di Burano!
Nota Storica:
Il merletto ad ago, che nasce a Venezia nella seconda metà del XV secolo, deriva dal ricamo, in particolare da quei punti che tendono a creare effetti di trasparenza: il punto tagliato, lo sfilato (vengono tolti alcuni fili dalla tela e poi si decorano i vuoti con vari punti), il reticello (il tessuto viene sfilato finché rimangono solo esili coordinate dalle quali si parte per creare i motivi decorativi). Questa tipologia è nota anche come "punto in aria", in quanto viene realizzata interamente con ago e filo, senza alcun supporto tessile.Il merletto ad ago si realizza su un cuscinetto cilindrico (uguale al tombolo dei fuselli) dove viene appoggiato il disegno tenuto sollevato dal murello, un piccolo cilindro di legno; seguendo i profili del disegno si esegue l’ordito (che verrà poi eliminato) sul quale si costruisce, con ago e filo, il merletto.
venerdì, dicembre 22, 2006
Misteri e storie di Venezia...
La Giustizia nella Serenissima
Si dice che nulla sfuggisse alla lunga mano degli Inquisitori Veneziani, chiamati anche "Babai"...
....tanto che ancora oggi, per spaventare i bimbi ed ammonirli a far i buoni, si usa dir minacciosi: "Guarda che chiamo il Babau!"
Per ricordar di ciò, si narra la storia del nobile francese che, giunto in città, venne subito derubato della cospicua somma di denaro che teneva nel suo borsello di velluto verde.Rimasto senza sostanze, decise di far rientro in Patria... Prima però si dileggiò a criticare ampiamente ed apertamente l'inefficienza del Governo veneziano.
S'imbarcò quindi per il viaggio di ritorno, tutto adirato. Quando fu sul punto di attraversar la bocca di porto di Sant'Andrea e, quindi, lasciar definitivamente Venezia, però la sua imbarcazione fu fermata da una gondola che trasportava un figuro inquietante, dal volto coperto, e vestito tutto di nero. Questi chiese, con fare autoritario, se fosse lui il nobile francese che era stato derubato.
Il nobile rispose affermativamente e l'uomo ammantato di scuro gli fece rovesciar in barca il cadavere d'un poveraccio che ancora stringeva tra le mani il sacchetto di velluto verde. Nell'effettuar la macabra consegna, l'Inquisitore disse: "Eccovi fatta giustizia! Riprendete tutto il vostro oro e partite, guardandovi bene dal rimetter piede sul nostro Dominio che avete ingiustamente calunniato!"
Il francese partì con la coda tra le gambe...

....Probabilmente, se avesse esaminato il corpo del ladro, non avrebbe notato nessuna ferita evidente, se non un piccolo taglio a livello dell'addome... Era infatti uso, tra gli agenti di giustizia serenissimi, un tipo di stiletto molto particolare e terribile!Era uno stiletto di vetro smerigliato e taglientissimo che veniva piantato nelle carni della vittima e spezzato alla base attraverso un agile colpo di polso. In tal modo la lama restava difficilmente estraibile dalla profonda ferita -specie per la chirurgia dell'epoca- lasciandola aperta ad uccider la vittima di un'inarrestabile emoraggia interna...
..dei simpaticoni, insomma! ^__*
La Giustizia nella Serenissima
Si dice che nulla sfuggisse alla lunga mano degli Inquisitori Veneziani, chiamati anche "Babai"...
....tanto che ancora oggi, per spaventare i bimbi ed ammonirli a far i buoni, si usa dir minacciosi: "Guarda che chiamo il Babau!"
Per ricordar di ciò, si narra la storia del nobile francese che, giunto in città, venne subito derubato della cospicua somma di denaro che teneva nel suo borsello di velluto verde.Rimasto senza sostanze, decise di far rientro in Patria... Prima però si dileggiò a criticare ampiamente ed apertamente l'inefficienza del Governo veneziano.
S'imbarcò quindi per il viaggio di ritorno, tutto adirato. Quando fu sul punto di attraversar la bocca di porto di Sant'Andrea e, quindi, lasciar definitivamente Venezia, però la sua imbarcazione fu fermata da una gondola che trasportava un figuro inquietante, dal volto coperto, e vestito tutto di nero. Questi chiese, con fare autoritario, se fosse lui il nobile francese che era stato derubato.
Il nobile rispose affermativamente e l'uomo ammantato di scuro gli fece rovesciar in barca il cadavere d'un poveraccio che ancora stringeva tra le mani il sacchetto di velluto verde. Nell'effettuar la macabra consegna, l'Inquisitore disse: "Eccovi fatta giustizia! Riprendete tutto il vostro oro e partite, guardandovi bene dal rimetter piede sul nostro Dominio che avete ingiustamente calunniato!"
Il francese partì con la coda tra le gambe...

....Probabilmente, se avesse esaminato il corpo del ladro, non avrebbe notato nessuna ferita evidente, se non un piccolo taglio a livello dell'addome... Era infatti uso, tra gli agenti di giustizia serenissimi, un tipo di stiletto molto particolare e terribile!Era uno stiletto di vetro smerigliato e taglientissimo che veniva piantato nelle carni della vittima e spezzato alla base attraverso un agile colpo di polso. In tal modo la lama restava difficilmente estraibile dalla profonda ferita -specie per la chirurgia dell'epoca- lasciandola aperta ad uccider la vittima di un'inarrestabile emoraggia interna...
..dei simpaticoni, insomma! ^__*
mercoledì, novembre 22, 2006
Misteri e storie di Venezia...
Torcello e il Ponte del Diavolo
Si narra che, durante l`occupazione austriaca di Venezia, una bella ragazza della Serenissima si fosse innamorata di un ufficiale dell`esercito occupante. La storia d`amore era impensabile e, infatti, fu osteggiata in primis dalla famiglia della ragazza stessa. I genitori, imbarazzati e intimamente offesi dal sentimento della figlia, allontanarono la ragazza da Venezia. Nel frattempo l`ufficiale austriaco venne assassinato, senza che ne fosse mai scoperto l`assassino... sebbene si conoscessero bene i mandanti, tra l`oligarchia veneziana.
La ragazza però cominciò a deperire, a non mangiare più, al punto che si cominciò a temere per la sua vita. Si fece avanti un amico di famiglia, dicendo che forse c`era un modo per farle incontrare nuovamente il suo amato. Costui, infatti, suggerì alla ragazza una maga che, si diceva, aveva la facoltà di mediare demoni e diavoli.
E così fu... La maga evocò uno di quei demoni che, secondo leggenda, celano sotto la lingua le chiavi che han la facoltà di aprire i tempi e gli spazi. Il diavolo evocato giunse ad un patto con la maga: avrebbe permesso ai due amanti di ritrovarsi se lei gli avesse consegnato le anime di 7 bimbi cristiani morti prematuramente.
Per il convegno dei due amanti era necessario trovare un ponte, in un luogo isolato e fu scelto il ponte di Torcello. Pochi giorni prima della Vigilia di Natale la maga e la ragazza si diedero appuntamento, nella notte, sul lato destro del ponte. Verso mezzanotte la maga consegnò una candela accesa alla veneziana, intimandole il silenzio, quindi salì fin nel mezzo del ponte.
Lì evocò il diavolo che si materializzò giantesco e nero davanti al lei. Senza dir nulla il demonio sfilò da sotto la sua lingua una delle chiavi d`oro e la porse alla maga.La vecchia lanciò la chiave nell`acqua, dove l`ombra del ponte si rifletteva sotto la luna.
A quel punto dall`altro lato del ponte apparve, per incanto, il giovane ufficiale austriaco. Seguendo le istruzioni, la ragazza attraversò il ponte passndo tra il demone e la strega. Quando raggiunse il suo amato, soffiò sulla fiamma e spense la candela. La storia narra che sia sparita col suo lui in tempi e luoghi ove, si suppone, abbiano trovato quella felicità negata loro sulla terra.
A quel punto il diavolo e la strega si diedero appuntamento la notte della Vigilia di Natale, per la consegna delle anime che la maga doveva al demone come pattuito. Si scelse la data del 24 dicembre perchè, in quella notte le forze del bene e del male erano occupate in altre opere.... ma qualcosa andò storto...
La maga morì in un incendio e non potè mai recarsi al ponte a pagar il suo debito... da allora, si narra, la notte della Vigilia di Natale un gatto nero attente inutilmente sul ponte la vecchia che venga a immolargli le 7 anime di bimbi cristiani...come promesso...
E davvero c’è quel gatto nero, ma è la Nerina, la gatta della Locanda Cipriani che va a trovare i mici della Giuliana, la decana ultra ottantenne di Torcello che abita proprio davanti il Ponte del Diavolo.
Torcello e il Ponte del Diavolo
Si narra che, durante l`occupazione austriaca di Venezia, una bella ragazza della Serenissima si fosse innamorata di un ufficiale dell`esercito occupante. La storia d`amore era impensabile e, infatti, fu osteggiata in primis dalla famiglia della ragazza stessa. I genitori, imbarazzati e intimamente offesi dal sentimento della figlia, allontanarono la ragazza da Venezia. Nel frattempo l`ufficiale austriaco venne assassinato, senza che ne fosse mai scoperto l`assassino... sebbene si conoscessero bene i mandanti, tra l`oligarchia veneziana.
La ragazza però cominciò a deperire, a non mangiare più, al punto che si cominciò a temere per la sua vita. Si fece avanti un amico di famiglia, dicendo che forse c`era un modo per farle incontrare nuovamente il suo amato. Costui, infatti, suggerì alla ragazza una maga che, si diceva, aveva la facoltà di mediare demoni e diavoli.
E così fu... La maga evocò uno di quei demoni che, secondo leggenda, celano sotto la lingua le chiavi che han la facoltà di aprire i tempi e gli spazi. Il diavolo evocato giunse ad un patto con la maga: avrebbe permesso ai due amanti di ritrovarsi se lei gli avesse consegnato le anime di 7 bimbi cristiani morti prematuramente.
Per il convegno dei due amanti era necessario trovare un ponte, in un luogo isolato e fu scelto il ponte di Torcello. Pochi giorni prima della Vigilia di Natale la maga e la ragazza si diedero appuntamento, nella notte, sul lato destro del ponte. Verso mezzanotte la maga consegnò una candela accesa alla veneziana, intimandole il silenzio, quindi salì fin nel mezzo del ponte.
Lì evocò il diavolo che si materializzò giantesco e nero davanti al lei. Senza dir nulla il demonio sfilò da sotto la sua lingua una delle chiavi d`oro e la porse alla maga.La vecchia lanciò la chiave nell`acqua, dove l`ombra del ponte si rifletteva sotto la luna.
A quel punto dall`altro lato del ponte apparve, per incanto, il giovane ufficiale austriaco. Seguendo le istruzioni, la ragazza attraversò il ponte passndo tra il demone e la strega. Quando raggiunse il suo amato, soffiò sulla fiamma e spense la candela. La storia narra che sia sparita col suo lui in tempi e luoghi ove, si suppone, abbiano trovato quella felicità negata loro sulla terra.
A quel punto il diavolo e la strega si diedero appuntamento la notte della Vigilia di Natale, per la consegna delle anime che la maga doveva al demone come pattuito. Si scelse la data del 24 dicembre perchè, in quella notte le forze del bene e del male erano occupate in altre opere.... ma qualcosa andò storto...
La maga morì in un incendio e non potè mai recarsi al ponte a pagar il suo debito... da allora, si narra, la notte della Vigilia di Natale un gatto nero attente inutilmente sul ponte la vecchia che venga a immolargli le 7 anime di bimbi cristiani...come promesso...
E davvero c’è quel gatto nero, ma è la Nerina, la gatta della Locanda Cipriani che va a trovare i mici della Giuliana, la decana ultra ottantenne di Torcello che abita proprio davanti il Ponte del Diavolo.
sabato, novembre 18, 2006
Misteri e storie di Venezia...
La Madonna della Salute
Correva l`anno 1600 e Venezia era impegnata in un`ardua battaglia per liberare i territori italiani dagli spagnoli e dai tedeschi. Furono in special modo i combattimenti contro i teutoni e le armate del nord Europa a riportare a Venezia un vecchio nemico, incarnato, se così si può dire, nel temibile Rattus Norvegicus.
Nel giugno del 1630 scoppiò nuovamente a Venezia un`epidemia di Peste, la famosa Morte Nera. I Provveditori alla Sanità, già operanti durante la grossa epidemia del 1575, emanarono molte disposizioni come bonificare le case insane, dividere gli ammalati nei vari ospedali e mandare a lavorare nelle campagne le persone non infette. Inoltre al celebre Lazzaretto Vecchio, già usato durante la prima ondata di peste, si associò in breve il Lazzaretto Nuovo -sempre in isola- per i malati.
Ma tutto ciò sembrava non bastare più e la Morte Nera imperversava per Venezia. Le vittime solo nel mese di novembre furono 11.966. Fu allora che il Doge e Patriarca di Venezia,Giovanni Tiepolo, oridnò preghiere pubbliche in tutta la città e processioni. Inoltre fece voto alla Madonna di erigere un tempio a suo nome, se mai l`epidemia si fosse sanata.
Nel gennaio del 1632 furono abbattute le case del Seminario vicino la punta della Dogana per far posto alla nuova costruzione e il Doge presenziò alla posa della prima pietra del tempio. Dopo un anno e mezzo e con quasi 50.000 vittime la peste finì e il 28 novembre fu decretato Giorno ufficiale dalla liberazione del morbo.
Una leggenda narra che la Madonna apparve in Corte Zorzi e fermò la Peste. In molti quadri di quegli anni questa scena è rappresentata con la Madonna che frena, con un palmo di mano, la Peste, rappresentata come uno scheletro completamente nero. Dove ciò avvenne ancora oggi si può vedere una mattonella rossa sul lastricato della corte.
Corte Zorzi
La Chiesa della Salute venne consacrata nel novembre del 1687. Da allora, ogni 21 novembre, sul Canal Grande viene eretto un ponte di barche, il famoso quarto ponte sul Canal Grande, che congiunge San Marco alla Salute, ed è usanza che tutti i veneziani (anche chi non vi risiede più) in quel giorno vadano ad accendere un lumino nel Tempio sulla punta della Dogana come rito propiziatorio per l`anno a venire e per ringraziare la grazia concessa dalla Madonna, liberando Venezia dalla peste del `600.
La Madonna della Salute
Correva l`anno 1600 e Venezia era impegnata in un`ardua battaglia per liberare i territori italiani dagli spagnoli e dai tedeschi. Furono in special modo i combattimenti contro i teutoni e le armate del nord Europa a riportare a Venezia un vecchio nemico, incarnato, se così si può dire, nel temibile Rattus Norvegicus.
Nel giugno del 1630 scoppiò nuovamente a Venezia un`epidemia di Peste, la famosa Morte Nera. I Provveditori alla Sanità, già operanti durante la grossa epidemia del 1575, emanarono molte disposizioni come bonificare le case insane, dividere gli ammalati nei vari ospedali e mandare a lavorare nelle campagne le persone non infette. Inoltre al celebre Lazzaretto Vecchio, già usato durante la prima ondata di peste, si associò in breve il Lazzaretto Nuovo -sempre in isola- per i malati.
Ma tutto ciò sembrava non bastare più e la Morte Nera imperversava per Venezia. Le vittime solo nel mese di novembre furono 11.966. Fu allora che il Doge e Patriarca di Venezia,Giovanni Tiepolo, oridnò preghiere pubbliche in tutta la città e processioni. Inoltre fece voto alla Madonna di erigere un tempio a suo nome, se mai l`epidemia si fosse sanata.
Nel gennaio del 1632 furono abbattute le case del Seminario vicino la punta della Dogana per far posto alla nuova costruzione e il Doge presenziò alla posa della prima pietra del tempio. Dopo un anno e mezzo e con quasi 50.000 vittime la peste finì e il 28 novembre fu decretato Giorno ufficiale dalla liberazione del morbo.
Una leggenda narra che la Madonna apparve in Corte Zorzi e fermò la Peste. In molti quadri di quegli anni questa scena è rappresentata con la Madonna che frena, con un palmo di mano, la Peste, rappresentata come uno scheletro completamente nero. Dove ciò avvenne ancora oggi si può vedere una mattonella rossa sul lastricato della corte.

La Chiesa della Salute venne consacrata nel novembre del 1687. Da allora, ogni 21 novembre, sul Canal Grande viene eretto un ponte di barche, il famoso quarto ponte sul Canal Grande, che congiunge San Marco alla Salute, ed è usanza che tutti i veneziani (anche chi non vi risiede più) in quel giorno vadano ad accendere un lumino nel Tempio sulla punta della Dogana come rito propiziatorio per l`anno a venire e per ringraziare la grazia concessa dalla Madonna, liberando Venezia dalla peste del `600.
mercoledì, novembre 15, 2006
Misteri e storie di Venezia...
Ca` Corner e il Peggy Guggeheim
Caterina Cornaro , sposa di Giacomo il Bastardo re di Cipro, dopo la morte del marito fu sostenuta da Venezia come “figlia” nel governo dell’isola. Successivamente, nel timore di una possibile perdita di Cipro in caso di nuovo matrimonio di Caterina, il Senato della Repubblica inviò da lei il fratello Zorzi per convincerla ad abdicare in favore della Serenissima. Caterina accettò: correva l’anno 1489.
Al rientro in Patria le furono riservati onori regali. Ancor oggi il corteo acqueo e la regata storica, che si svolgono ogni anno la prima domenica di settembre, ricordano il ritorno di Caterina a Venezia. Caterina passò la sua vita tra Venezia -il suo palazzo sul Canal Grande conserva il nome di Cà Corner de la Regina- ed Asolo. In tale splendida località, infatti, la Repubblica le aveva assegnato il possesso del castello ed un cospicuo appannaggio: Caterina vi tenne una corte veramente splendida fino alla sua morte avvenuta nel 1510.
Castello di Asolo
La famiglia dei Corner, da lì, divenne, si può facilmente immaginare, una delle più potenti tra le famiglie nobili veneziane, fornita di ricchezze favolose. Il palazzo Corner,costruito in seguito e imponente al punto da farlo definire la Cà Granda, era divenuto famoso per il suo fasto straordinario.
Tanto che si narra che sia stata la potenza e l`influenza dei Corner a Venezia a determinare la forma bizzarra del Palazzo Venier dei Leoni, ovvero l`attuale sede del Peggy Guggenheim Museum.
Ca' Corner
Correva, infatti, l`anno 1748 che si cominciò la costruzione del Palazzo, buttando le fondamenta ed innalzando il basamento. Fu allora che i Corner si opposero alla continuazione dello stesso, sostenendo che l`innalzamento del palazzo avrebbe ostruito loro la vista sulla laguna di Venezia.Non rimase, quindi, alla famiglia "dirimpettaia" dei Corner interrompere la costruzione del palazzo loro, lasciandolo così come lo possiamo vedere noi oggi, ossia fermo al solo basamento, tanto che i veneziani ancora oggi lo chiamano il "palazzo incompiuto".
Il Guggenheim
NB. Ca` Corner è ancora oggi la sede della Provincia di Venezia.
Ca` Corner e il Peggy Guggeheim
Caterina Cornaro , sposa di Giacomo il Bastardo re di Cipro, dopo la morte del marito fu sostenuta da Venezia come “figlia” nel governo dell’isola. Successivamente, nel timore di una possibile perdita di Cipro in caso di nuovo matrimonio di Caterina, il Senato della Repubblica inviò da lei il fratello Zorzi per convincerla ad abdicare in favore della Serenissima. Caterina accettò: correva l’anno 1489.
Al rientro in Patria le furono riservati onori regali. Ancor oggi il corteo acqueo e la regata storica, che si svolgono ogni anno la prima domenica di settembre, ricordano il ritorno di Caterina a Venezia. Caterina passò la sua vita tra Venezia -il suo palazzo sul Canal Grande conserva il nome di Cà Corner de la Regina- ed Asolo. In tale splendida località, infatti, la Repubblica le aveva assegnato il possesso del castello ed un cospicuo appannaggio: Caterina vi tenne una corte veramente splendida fino alla sua morte avvenuta nel 1510.

La famiglia dei Corner, da lì, divenne, si può facilmente immaginare, una delle più potenti tra le famiglie nobili veneziane, fornita di ricchezze favolose. Il palazzo Corner,costruito in seguito e imponente al punto da farlo definire la Cà Granda, era divenuto famoso per il suo fasto straordinario.
Tanto che si narra che sia stata la potenza e l`influenza dei Corner a Venezia a determinare la forma bizzarra del Palazzo Venier dei Leoni, ovvero l`attuale sede del Peggy Guggenheim Museum.

Correva, infatti, l`anno 1748 che si cominciò la costruzione del Palazzo, buttando le fondamenta ed innalzando il basamento. Fu allora che i Corner si opposero alla continuazione dello stesso, sostenendo che l`innalzamento del palazzo avrebbe ostruito loro la vista sulla laguna di Venezia.Non rimase, quindi, alla famiglia "dirimpettaia" dei Corner interrompere la costruzione del palazzo loro, lasciandolo così come lo possiamo vedere noi oggi, ossia fermo al solo basamento, tanto che i veneziani ancora oggi lo chiamano il "palazzo incompiuto".

NB. Ca` Corner è ancora oggi la sede della Provincia di Venezia.
sabato, novembre 11, 2006

Feste di Venezia...e dintorni
San Martino
La leggenda di San Martino racconta di come Lui, nobile cavaliere, in una giornata grigia, piovosa e ventosa di novembre, tagliasse con la spada metà del suo caldo e rosso mantello per donarlo ad un poveretto infreddolito. Il poveretto benedisse il cavaliere tanto generoso e San Martino, quindi, prosegì per la sua strada a cavallo, in mezzo ad una pioggia che si faceva sempre più fredda e ventosa, quasi a strappargli quel mezzo mantello che gli rimaneva.Quando ad un tratto il cielo si aprì e al Cavaliere apparve Dio a ringraziarlo della generosità mostrata col poverello. Da allora a ricordo di ciò a metà novembre si apre la cosidetta Estate di San Martino, ossia un periodo di cielo sereno e assolato, seppur nel freddo dell`autunno.
L`11 novembre a Venezia, il giorno di San Martino, è uso che i bambini, muniti di coperchi e mestoli, discendano per per calli a gruppetti battendo rumorosamente gli attrezzi di cui son forniti. Nel far ciò intonano una filastrocca che fa così:
S. Martin xe `ndà in sofita
a trovar ea so` novissa
nona Rita no ghe gera
S.Martin col cùeo par tera
E col nostro sachet
ìcari signori xe S.Martin
Trad. "San Martino è andato in soffitta/ a trovar la sua fidanzata/ nonna Rita non c`era/ S. Martin col culo a terra/ E col nostro sacchettino/Cari signori per San Martino"Filastrocca di oscuri natali e ancora più oscuro significato..specie per i bimbi delle elementari e dell`asilo.Lo scopo della scorribanda chiassosa tra calli e callette è quella di raccogliere, appunto, tra negozianti e passanti, qualcosa per questo povero San martino rimasto "col culo a terra", come recita la canzonetta. Ossia la versione, se volete, veneziana del "dolcetto o scherzetto" di origini anglosassoni.
E` tipico di questo giorno il classico biscotto a forma di cavaliere a cavallo con spada e mantello il "San Martin". Il dolce di S. Martino è fatto di pasta frolla, glassa di zucchero e praline a forma del santo a cavallo con spada e mantello.
La Festa di San Martino, ad ogni modo, è tipica di larga parte del Veneto Orientale, almeno fino a Treviso, essendo ricollegabile al momento dell`apertura del vino novello e delle prime castagne.
mercoledì, novembre 08, 2006
Misteri e storie di Venezia...
L`avvocato e la scimmia
Girando tra San Marco e l`Arsenale, dal ponte dell`Angelo si può scorgere un palazzo appartenuto alla famiglia Nani (o, secondo alcuni, dai Soranzo). La cosa particolare del palazzo è l`altorilievo di un angelo, scolpito nell`intento di benedire un globo decorato da una croce. La storia di questa icona è tramandata dai frati Cappuccini.
In questa casa abitava nel 1552 un losco avvocato della Curia Ducale che si diceva ottenesse molti soldi attraverso imbrogli e raggiri. Nonostante ciò, si narra, che costui fosse pure molto fosse devoto alla Maria Vergine.
Un giorno andò a mangiare da lui padre Matteo, il Superiore dei Cappuccini. Padre Matteo rimane stupefatto dalla presenza di una scimmia in casa dell` avvocato, dato che la scimmi era tanto intelligente e sveglia da aiutare nelle faccende domestiche. Non ci mise molto il Cappuccino a notare una presenza demoniaca in questo animale. La scimmia, di rimando, cominciò a comportarsi stranamente e a nascondersi sotto il letto.
Padre Matteo allora gli parlò: "Rivelati quel che sei, scimmia!" E lei: "Io sono il demonio e sono venuta in questa casa per prendere l`anima di questo avvocato. Lui mi deve molti dei suoi titoli.". "E perché non te l`hai ancora portato all`inferno?" disse il padre. "Perché ogni sera prega la Madonna. Basta che solo una volta se ne dimentichi che subito se ne verrà con me a bruciare nelle fiamme".
In quel momento Padre Matteo ordinò al diavolo di uscire dalla casa. E la scimmia: "Dall`alto mi è stato ordinato di non uscire dalla casa senza fare qualche danno". E il padre: "Farai sì qualche danno. Adesso dalla casa ci uscirai sfondando il muro." E così il demonio se ne uscì.
I due continuarono a cenare e a parlare di tutte le cose brutte successe fino ad ora. Padre Matteo disse all`avvocato di pentirsi di tutte le malefatte compiute fin d`ora e, preso un lembo della tovaglia, prese a torcerlo fino a che del sangue cominciò a gocciolare. "Questo è il sangue dei poveri da te succhiato con tutte le tue ingiuste estorsioni."
"E per il buco nel muro lasciato dal diavolo?" domandò l`avvocato "Al posto del buco ci porrai un`immagine di un angelo cosicché gli angeli cattivi alla sua vista ne fuggiranno" rassicurò il buon Padre.
E così fece.
L`avvocato e la scimmia
Girando tra San Marco e l`Arsenale, dal ponte dell`Angelo si può scorgere un palazzo appartenuto alla famiglia Nani (o, secondo alcuni, dai Soranzo). La cosa particolare del palazzo è l`altorilievo di un angelo, scolpito nell`intento di benedire un globo decorato da una croce. La storia di questa icona è tramandata dai frati Cappuccini.
In questa casa abitava nel 1552 un losco avvocato della Curia Ducale che si diceva ottenesse molti soldi attraverso imbrogli e raggiri. Nonostante ciò, si narra, che costui fosse pure molto fosse devoto alla Maria Vergine.
Un giorno andò a mangiare da lui padre Matteo, il Superiore dei Cappuccini. Padre Matteo rimane stupefatto dalla presenza di una scimmia in casa dell` avvocato, dato che la scimmi era tanto intelligente e sveglia da aiutare nelle faccende domestiche. Non ci mise molto il Cappuccino a notare una presenza demoniaca in questo animale. La scimmia, di rimando, cominciò a comportarsi stranamente e a nascondersi sotto il letto.
Padre Matteo allora gli parlò: "Rivelati quel che sei, scimmia!" E lei: "Io sono il demonio e sono venuta in questa casa per prendere l`anima di questo avvocato. Lui mi deve molti dei suoi titoli.". "E perché non te l`hai ancora portato all`inferno?" disse il padre. "Perché ogni sera prega la Madonna. Basta che solo una volta se ne dimentichi che subito se ne verrà con me a bruciare nelle fiamme".
In quel momento Padre Matteo ordinò al diavolo di uscire dalla casa. E la scimmia: "Dall`alto mi è stato ordinato di non uscire dalla casa senza fare qualche danno". E il padre: "Farai sì qualche danno. Adesso dalla casa ci uscirai sfondando il muro." E così il demonio se ne uscì.
I due continuarono a cenare e a parlare di tutte le cose brutte successe fino ad ora. Padre Matteo disse all`avvocato di pentirsi di tutte le malefatte compiute fin d`ora e, preso un lembo della tovaglia, prese a torcerlo fino a che del sangue cominciò a gocciolare. "Questo è il sangue dei poveri da te succhiato con tutte le tue ingiuste estorsioni."
"E per il buco nel muro lasciato dal diavolo?" domandò l`avvocato "Al posto del buco ci porrai un`immagine di un angelo cosicché gli angeli cattivi alla sua vista ne fuggiranno" rassicurò il buon Padre.
E così fece.
domenica, novembre 05, 2006
Misteri e storie di Venezia
La Madonna dell'Orto e la Statua di Giuda
La bella chiesa gotica, che sorge dietro la Fondamenta de la Sensa, e che già riconosciamo arrivando a Venezia col treno dal campanile rosso a cupolotta, un tempo era dedicata a San Cristoforo. Prima che, cioè, in un orticello poco distante dalla chiesa uno scultore vi ponesse piccola statua dedicata alla Madonna, la quale cominciò ad essere adorata, in breve, dagli abitanti del Sestiere de Canaregio perchè ritenuta miracolosa.
Siamo nella prima metà del `300 e nella parte superiore della chiesa a Paolo dalle Masegne, un mastro scalpellino, fu dato l`incarico di scolpire le statue dei dodici apostoli. Ora, non molti lo sapranno, ma, in epoca medievale, Giuda non veniva mai ritratto con le sue vere sembianze, usando, al posto di quelle autentiche, le fattezze di San Mattia, il santo che prese il suo posto dopo il noto suicidio.
Paolo Delle Masegne, non lo sapeva nessuno e nemmeno i fratelli di lui, era in realtà un adoratore del demonio e la chiesa di San Cristoforo doveva essere un luogo di culto satanico, ma nessuno, neanche i suoi fratelli, lo sapevano. Così racconta la leggenda. A lui il demonio aveva consegnato una delle 30 monete di Giuda usate per il tradimento di Gesù e aveva impartito l`ordine di inserire questa moneta nella statua del discepolo traditore a cui Paolo aveva dato le sembianze vere.
Paolo così fece, ma per portare a termine con successo quanto dettatogli dal demonio era necessaria una messa dedicata, appunto, alla realizzazione dell`opera stessa. Paolo prese accordi con il prete e si stabilì la data per la Santa Messa. Questa avvenne nel corso della settimana Santa del 1366.
Tra la gente presente alla cerimonia c`era anche Isabella Contarin, una bambina molto famosa a Venezia tanto da essere considerata una santa. Isabella aveva allora dodici anni e si diceva avesse la capacità di dialogare con l`aldilà e di leggere il futuro guardando l`aura delle persone.
Nel pieno della cerimonia la bambina guardò negli occhi Paolo Delle Masegne indicandolo come un discepolo del Diavolo. Non fece neanche in tempo di dirlo che lo scalpellino le si scagliò contro. Tuttavia un pronto credente prese il dispensatore dell`acqua santa che aveva per le mani e la spruzzò contro il seguace di Satana. Paolo Delle Masegne cadde per terra di colpo come svenuto.
A quel punto, dice la leggenda, il cielo si oscurò e il vento soffiò forte, per cessare poi d`improvviso com`era cominciato. Quando Paolo rinvenne non si ricordò di nulla. La statua rimase comunque al suo posto come la vediamo ancora oggi.
Curiosità: Madonna dell`Orto è, attualmente, l`unica chiesa di Venezia che conserva l`originale sagrato in cotto a spina di pesce. Nonchè lungo la fondamenta stessa, al numero 3399, abitava il celebre pittore Tintoretto, di cui la Chiesa conserva splendide opere oltre alla tomba stessa.
La Madonna dell'Orto e la Statua di Giuda
La bella chiesa gotica, che sorge dietro la Fondamenta de la Sensa, e che già riconosciamo arrivando a Venezia col treno dal campanile rosso a cupolotta, un tempo era dedicata a San Cristoforo. Prima che, cioè, in un orticello poco distante dalla chiesa uno scultore vi ponesse piccola statua dedicata alla Madonna, la quale cominciò ad essere adorata, in breve, dagli abitanti del Sestiere de Canaregio perchè ritenuta miracolosa.
Siamo nella prima metà del `300 e nella parte superiore della chiesa a Paolo dalle Masegne, un mastro scalpellino, fu dato l`incarico di scolpire le statue dei dodici apostoli. Ora, non molti lo sapranno, ma, in epoca medievale, Giuda non veniva mai ritratto con le sue vere sembianze, usando, al posto di quelle autentiche, le fattezze di San Mattia, il santo che prese il suo posto dopo il noto suicidio.
Paolo Delle Masegne, non lo sapeva nessuno e nemmeno i fratelli di lui, era in realtà un adoratore del demonio e la chiesa di San Cristoforo doveva essere un luogo di culto satanico, ma nessuno, neanche i suoi fratelli, lo sapevano. Così racconta la leggenda. A lui il demonio aveva consegnato una delle 30 monete di Giuda usate per il tradimento di Gesù e aveva impartito l`ordine di inserire questa moneta nella statua del discepolo traditore a cui Paolo aveva dato le sembianze vere.
Paolo così fece, ma per portare a termine con successo quanto dettatogli dal demonio era necessaria una messa dedicata, appunto, alla realizzazione dell`opera stessa. Paolo prese accordi con il prete e si stabilì la data per la Santa Messa. Questa avvenne nel corso della settimana Santa del 1366.
Tra la gente presente alla cerimonia c`era anche Isabella Contarin, una bambina molto famosa a Venezia tanto da essere considerata una santa. Isabella aveva allora dodici anni e si diceva avesse la capacità di dialogare con l`aldilà e di leggere il futuro guardando l`aura delle persone.
Nel pieno della cerimonia la bambina guardò negli occhi Paolo Delle Masegne indicandolo come un discepolo del Diavolo. Non fece neanche in tempo di dirlo che lo scalpellino le si scagliò contro. Tuttavia un pronto credente prese il dispensatore dell`acqua santa che aveva per le mani e la spruzzò contro il seguace di Satana. Paolo Delle Masegne cadde per terra di colpo come svenuto.
A quel punto, dice la leggenda, il cielo si oscurò e il vento soffiò forte, per cessare poi d`improvviso com`era cominciato. Quando Paolo rinvenne non si ricordò di nulla. La statua rimase comunque al suo posto come la vediamo ancora oggi.
Curiosità: Madonna dell`Orto è, attualmente, l`unica chiesa di Venezia che conserva l`originale sagrato in cotto a spina di pesce. Nonchè lungo la fondamenta stessa, al numero 3399, abitava il celebre pittore Tintoretto, di cui la Chiesa conserva splendide opere oltre alla tomba stessa.
giovedì, novembre 02, 2006
Misteri e storie di Venezia...
Il Pozzo alle Mercerie e la Bianca Signora
Questa volta ci troviamo dalle parti delle Mercerie, vicino al ponte dei Bareteti, in Corte Locatello. Per intenderci è la stradina parallela delle Mercerie che vanno a Rialto tra Trevissoi e il Sempione. La nostra storia è ambientata in questa graziosa corte, chiusa tra le quinte di lussuosi negozi, con al centro il solito pozzo veneziano. In tutte le corti di Venezia, infatti, si trovano dei pozzi che erano una delle poche risorse idriche della città lagunare.
Nel tempo in cui si svolse la nostra storia, però, regnava a Venezia un periodo di siccità e dal pozzo bisognava prender per sè meno acqua possibile, per accontentare tutti. Immaginatevi quante baruffe facevano la povera gente.
Era notte quanto un barcaiolo, recandosi al pozzo di corte Locatello, trovò una signora vestita di bianco. Subito prese paura per via dell`ora buia e di certe dicerie che raccontavano di streghe vaganti nella notte e particolarmente feroci, visto il periodo di siccità. Ma la signora vestita di bianco disse al barcaiolo: "Non temere! Ma se stanotte non tornerai a casa prima dell`alba ti capiterà qualcosa di strano".
Il barcaiolo, impaurito, minacciò la signora di andarsene continuando ad attingere l`acqua dal pozzo. La signora invece continua a pregarlo insistentemente di andarsene. Ad un certo punto dal sottoportico entrò un uomo che assalì con un lungo coltello il barcaiolo e lo coplì gravemente. La colluttazione durò quel tanto che bastava all`assalitore per rendersi conto che il barcaiolo non era quello che lui cercava e, quindi, di pentirsi del suo atto.
La signora in bianco allora prese il coltello intriso di sangue lasciato cadere a terra dall`assalitore e si avvicinò al pozzo, facendone cadere dentro tre gocce di sangue. In quel momento l`acqua cominciò a salire dal pozzo fino a traboccare. Prese allora il suo fazzoletto, pulì la ferita del barcaiolo che cominciò subito a rimarginarsi.
Il barcaiolo si rianimò e lui e l`assalitore si guardarono negli occhi sentendo la signora in bianco dire a loro che da quel momento in poi vi sarebbe stata acqua in abbondanza. Se ne andarono non prima di aver visto la signora svanire nel nulla.
Una versione precedente dice che la signora in bianco sia stata una vittima della gelosia del proprio amante e murata all`interno del pozzo per occultare l`omicidio compiuto da questi. Da allora il suo spirito aleggia nella corte nelle notti di luna nuova.
Il Pozzo alle Mercerie e la Bianca Signora
Questa volta ci troviamo dalle parti delle Mercerie, vicino al ponte dei Bareteti, in Corte Locatello. Per intenderci è la stradina parallela delle Mercerie che vanno a Rialto tra Trevissoi e il Sempione. La nostra storia è ambientata in questa graziosa corte, chiusa tra le quinte di lussuosi negozi, con al centro il solito pozzo veneziano. In tutte le corti di Venezia, infatti, si trovano dei pozzi che erano una delle poche risorse idriche della città lagunare.
Nel tempo in cui si svolse la nostra storia, però, regnava a Venezia un periodo di siccità e dal pozzo bisognava prender per sè meno acqua possibile, per accontentare tutti. Immaginatevi quante baruffe facevano la povera gente.
Era notte quanto un barcaiolo, recandosi al pozzo di corte Locatello, trovò una signora vestita di bianco. Subito prese paura per via dell`ora buia e di certe dicerie che raccontavano di streghe vaganti nella notte e particolarmente feroci, visto il periodo di siccità. Ma la signora vestita di bianco disse al barcaiolo: "Non temere! Ma se stanotte non tornerai a casa prima dell`alba ti capiterà qualcosa di strano".
Il barcaiolo, impaurito, minacciò la signora di andarsene continuando ad attingere l`acqua dal pozzo. La signora invece continua a pregarlo insistentemente di andarsene. Ad un certo punto dal sottoportico entrò un uomo che assalì con un lungo coltello il barcaiolo e lo coplì gravemente. La colluttazione durò quel tanto che bastava all`assalitore per rendersi conto che il barcaiolo non era quello che lui cercava e, quindi, di pentirsi del suo atto.
La signora in bianco allora prese il coltello intriso di sangue lasciato cadere a terra dall`assalitore e si avvicinò al pozzo, facendone cadere dentro tre gocce di sangue. In quel momento l`acqua cominciò a salire dal pozzo fino a traboccare. Prese allora il suo fazzoletto, pulì la ferita del barcaiolo che cominciò subito a rimarginarsi.
Il barcaiolo si rianimò e lui e l`assalitore si guardarono negli occhi sentendo la signora in bianco dire a loro che da quel momento in poi vi sarebbe stata acqua in abbondanza. Se ne andarono non prima di aver visto la signora svanire nel nulla.
Una versione precedente dice che la signora in bianco sia stata una vittima della gelosia del proprio amante e murata all`interno del pozzo per occultare l`omicidio compiuto da questi. Da allora il suo spirito aleggia nella corte nelle notti di luna nuova.
domenica, ottobre 29, 2006
Misteri e Storie di Venezia...
la Bragora e la sua Melusina
Alla Bragora, cioè proseguendo un po` oltre San Marco, c`é uno dei sottoportici più bassi di Venezia. Sulla volta del sottoportico c`è un cuore di pietra rossa, legato ad una storia molto vecchia.
Nella casa che sta sopra il sottoportego, si racconta vivesse Orio, un giovane pescatore. Una mattina di novembre, prima dell`alba, prese la sua barchetta come al solito e vogò fino alla bocca da porto* di Malamocco, dove gettò le sue reti. Era ancora notte sulla laguna e, improvvisamente, dalle reti in acqua venne un lamento: "Per piacere, liberami, ti prego!"
Dalla laguna scura emersero le mani ed il viso di una splendida ragazza. Orio si spaventò, facendo un balzo all`indietro sul barchino e chiese tremante: "Non sarai mica una strega caduta in acqua... vero?"
"Non preoccuparti - rispose lei- Mi chiamo Melusina" Gli sorrise e lui, acquietatosi, rispose al sorriso. In quello lei si tirò su sulla barca, emergendo in toto dall`acqua e rivelando, dalla vita in giù, una grande coda di pesce. Orio non se ne turbò e rimase a parlar con lei fino al sorgere del sole. Al momento del commiato al giovane pescatore piangeva il cuore e, resosi conto di essersi innamorato di lei, le chiese di poterla incontrare ogni notte. E così fu.
Passò il tempo e passarono le notti, finchè Orio decise di chiederle la mano: la voleva sposare. Melusina gli disse che, per accontentarlo, doveva perdere la libertà del mare e ottenere un paio di gambe. Orio insistette e lei acconsentì, ma ad una condizione:fino al giorno delle nozze non si sarebbero potuti vedere di sabato.
Tutto andò liscio per due settimane ma al terzo sabato il giovane non seppe resistere a andò al solito posto. Aspettò ma lei non si fece viva. Ad un certo punto un turbinio d`acque scosse il silenzio ed una grande serpe si dimenò nell`acqua chiamandolo per nome: "Ti avevo detto di non venire! Per un maleficio sono costretta a trasformarmi in serpe ogni sabato. Ma se mi sposerai rimarrò per sempre bella come mi conosci"
Orio sorrise, nè si spaventò. Alla fine si sposarono ed ebbero tre figli. Il pescatore aveva così una famiglia e il lavoro andava a gonfie vele. Ma un giorno Melusina si ammalò e morì e volle essere seppellita in mare.
Orio, da solo in casa coi figli e il lavoro da badare, non sapeva come fare. Ma qualcosa di strano avvenne in quella casa. Ogni volta che rincasava trovava sia i figli che la casa perfettamente a posto. Pensò fosse la sua vicina. Ma un giorno, di sabato, rincasato prima del solito trovò in cucina una serpe. Prese l`accetta e la colpì fino a farla stramazzare senza vita.
Da quel momento la casa e figli rimasero di colpo trascurati. Si rese conto solo dopo che la serpe era la sua Melusina e lui l`aveva uccisa definitivamente. A ricordo di questa storia un cuore in pietra è stato posto dove in origine fu la casa di Orio e Melusina.
La storia della donna-serpe non è solo veneziana, nè si chiama melusina solo da noi. Però è sempre bello raccontarvele, specie se c`è mezzo riscontro dal vivo...che fa pensare che sia successo per davvero... come quel cuore in pietra...
* Bocca da porto: sono le aperture della laguna al mare. le famose a Venezia sono tre: quella tra Punta Sabbioni e il Lido (a est), quella tra il Lido e l`isola di Pellestrina (Malamocco, appunto, la centrale) e quella tra Pellestrina e Chioggia (a ovest).
la Bragora e la sua Melusina
Alla Bragora, cioè proseguendo un po` oltre San Marco, c`é uno dei sottoportici più bassi di Venezia. Sulla volta del sottoportico c`è un cuore di pietra rossa, legato ad una storia molto vecchia.
Nella casa che sta sopra il sottoportego, si racconta vivesse Orio, un giovane pescatore. Una mattina di novembre, prima dell`alba, prese la sua barchetta come al solito e vogò fino alla bocca da porto* di Malamocco, dove gettò le sue reti. Era ancora notte sulla laguna e, improvvisamente, dalle reti in acqua venne un lamento: "Per piacere, liberami, ti prego!"
Dalla laguna scura emersero le mani ed il viso di una splendida ragazza. Orio si spaventò, facendo un balzo all`indietro sul barchino e chiese tremante: "Non sarai mica una strega caduta in acqua... vero?"
"Non preoccuparti - rispose lei- Mi chiamo Melusina" Gli sorrise e lui, acquietatosi, rispose al sorriso. In quello lei si tirò su sulla barca, emergendo in toto dall`acqua e rivelando, dalla vita in giù, una grande coda di pesce. Orio non se ne turbò e rimase a parlar con lei fino al sorgere del sole. Al momento del commiato al giovane pescatore piangeva il cuore e, resosi conto di essersi innamorato di lei, le chiese di poterla incontrare ogni notte. E così fu.
Passò il tempo e passarono le notti, finchè Orio decise di chiederle la mano: la voleva sposare. Melusina gli disse che, per accontentarlo, doveva perdere la libertà del mare e ottenere un paio di gambe. Orio insistette e lei acconsentì, ma ad una condizione:fino al giorno delle nozze non si sarebbero potuti vedere di sabato.
Tutto andò liscio per due settimane ma al terzo sabato il giovane non seppe resistere a andò al solito posto. Aspettò ma lei non si fece viva. Ad un certo punto un turbinio d`acque scosse il silenzio ed una grande serpe si dimenò nell`acqua chiamandolo per nome: "Ti avevo detto di non venire! Per un maleficio sono costretta a trasformarmi in serpe ogni sabato. Ma se mi sposerai rimarrò per sempre bella come mi conosci"
Orio sorrise, nè si spaventò. Alla fine si sposarono ed ebbero tre figli. Il pescatore aveva così una famiglia e il lavoro andava a gonfie vele. Ma un giorno Melusina si ammalò e morì e volle essere seppellita in mare.
Orio, da solo in casa coi figli e il lavoro da badare, non sapeva come fare. Ma qualcosa di strano avvenne in quella casa. Ogni volta che rincasava trovava sia i figli che la casa perfettamente a posto. Pensò fosse la sua vicina. Ma un giorno, di sabato, rincasato prima del solito trovò in cucina una serpe. Prese l`accetta e la colpì fino a farla stramazzare senza vita.
Da quel momento la casa e figli rimasero di colpo trascurati. Si rese conto solo dopo che la serpe era la sua Melusina e lui l`aveva uccisa definitivamente. A ricordo di questa storia un cuore in pietra è stato posto dove in origine fu la casa di Orio e Melusina.
La storia della donna-serpe non è solo veneziana, nè si chiama melusina solo da noi. Però è sempre bello raccontarvele, specie se c`è mezzo riscontro dal vivo...che fa pensare che sia successo per davvero... come quel cuore in pietra...
* Bocca da porto: sono le aperture della laguna al mare. le famose a Venezia sono tre: quella tra Punta Sabbioni e il Lido (a est), quella tra il Lido e l`isola di Pellestrina (Malamocco, appunto, la centrale) e quella tra Pellestrina e Chioggia (a ovest).
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