domenica, ottobre 29, 2006

Misteri e Storie di Venezia...

la Bragora e la sua Melusina


Alla Bragora, cioè proseguendo un po` oltre San Marco, c`é uno dei sottoportici più bassi di Venezia. Sulla volta del sottoportico c`è un cuore di pietra rossa, legato ad una storia molto vecchia.



Nella casa che sta sopra il sottoportego, si racconta vivesse Orio, un giovane pescatore. Una mattina di novembre, prima dell`alba, prese la sua barchetta come al solito e vogò fino alla bocca da porto* di Malamocco, dove gettò le sue reti. Era ancora notte sulla laguna e, improvvisamente, dalle reti in acqua venne un lamento: "Per piacere, liberami, ti prego!"
Dalla laguna scura emersero le mani ed il viso di una splendida ragazza. Orio si spaventò, facendo un balzo all`indietro sul barchino e chiese tremante: "Non sarai mica una strega caduta in acqua... vero?"
"Non preoccuparti - rispose lei- Mi chiamo Melusina" Gli sorrise e lui, acquietatosi, rispose al sorriso. In quello lei si tirò su sulla barca, emergendo in toto dall`acqua e rivelando, dalla vita in giù, una grande coda di pesce. Orio non se ne turbò e rimase a parlar con lei fino al sorgere del sole. Al momento del commiato al giovane pescatore piangeva il cuore e, resosi conto di essersi innamorato di lei, le chiese di poterla incontrare ogni notte. E così fu.

Passò il tempo e passarono le notti, finchè Orio decise di chiederle la mano: la voleva sposare. Melusina gli disse che, per accontentarlo, doveva perdere la libertà del mare e ottenere un paio di gambe. Orio insistette e lei acconsentì, ma ad una condizione:fino al giorno delle nozze non si sarebbero potuti vedere di sabato.

Tutto andò liscio per due settimane ma al terzo sabato il giovane non seppe resistere a andò al solito posto. Aspettò ma lei non si fece viva. Ad un certo punto un turbinio d`acque scosse il silenzio ed una grande serpe si dimenò nell`acqua chiamandolo per nome: "Ti avevo detto di non venire! Per un maleficio sono costretta a trasformarmi in serpe ogni sabato. Ma se mi sposerai rimarrò per sempre bella come mi conosci"
Orio sorrise, nè si spaventò. Alla fine si sposarono ed ebbero tre figli. Il pescatore aveva così una famiglia e il lavoro andava a gonfie vele. Ma un giorno Melusina si ammalò e morì e volle essere seppellita in mare.

Orio, da solo in casa coi figli e il lavoro da badare, non sapeva come fare. Ma qualcosa di strano avvenne in quella casa. Ogni volta che rincasava trovava sia i figli che la casa perfettamente a posto. Pensò fosse la sua vicina. Ma un giorno, di sabato, rincasato prima del solito trovò in cucina una serpe. Prese l`accetta e la colpì fino a farla stramazzare senza vita.
Da quel momento la casa e figli rimasero di colpo trascurati. Si rese conto solo dopo che la serpe era la sua Melusina e lui l`aveva uccisa definitivamente. A ricordo di questa storia un cuore in pietra è stato posto dove in origine fu la casa di Orio e Melusina.


La storia della donna-serpe non è solo veneziana, nè si chiama melusina solo da noi. Però è sempre bello raccontarvele, specie se c`è mezzo riscontro dal vivo...che fa pensare che sia successo per davvero... come quel cuore in pietra...


* Bocca da porto: sono le aperture della laguna al mare. le famose a Venezia sono tre: quella tra Punta Sabbioni e il Lido (a est), quella tra il Lido e l`isola di Pellestrina (Malamocco, appunto, la centrale) e quella tra Pellestrina e Chioggia (a ovest).

domenica, ottobre 22, 2006

Misteri e Storie di Venezia...

la Chiesa di S.Maria della Consolazione

Questa storia ci porta nelle zone di Ponte della Fava tra San Lio e San Bortolomio, davanti alla chiesa dedicata a Santa Maria della Consolazione. A Venezia, però, questa chiesa è più nota come Santa Maria della Fava, in ricordo di un vecchio negozietto di fave, oggi non più presente.

Tutto si svolse quando ancora l`attuale chiesa non era eretta, ma ne esisteva una più piccola che si apriva direttamente sulla riva e, dove sorge l`attuale, all`epoca c`era il piccolo cimitero di pertinenza della chiesetta antica.
Maria era figlia di un ricco commerciante che si era innamorata di Gregorio, un pittore di immagini sacre. Da tre anni costoro erano amanti segreti e clandestini, quando il padre di lei decise di darla in sposa ad un altro: ovviamente un giovanotto ricco e di buona famiglia, a differenza del pittore. Maria ubbidì alla famiglia e, a malincuore, sposò chi il padre le suggeriva. Ma non durò molto: di lì a tre anni morì dopo una breve malattia e venne sepolta proprio nel cimitero della piccola chiesetta che all`epoca sorgeva innanzi al ponte delle Fave.

Venne l`inverno e a Venezia cadeva la neve quando, nel piccolo cimitero si levò una figura: era Maria. Per Grazia di una volontà più grande, era tornata in vita. Ella andò allora dallo sposo ed egli la cacciò come fosse il demonio in terra. Maria andò, quindi, dai genitori che la ripudiarono come già il marito aveva fatto.
Gregorio stava chino al suo tavolo da lavoro, dipingendo l`immagine della Madonna da donare alla chiesa, quando Maria gli si accostò rincuorandolo: "Non aver paura, non ti farò del male..." Gregorio non ebbe paura e stringe la cara Maria tra le braccia. Quindi, senza dir niente a nessuno, curò e vestì la sua amata fino a condurla in chiesa, al proprio fianco, il giorno di Natale, tra lo stupore generale.

Alcuni, vedendoli e riconoscendo Lei, gridarono al miracolo. Anche i genitori di Maria, ritrovando al fine la figlia, la vollero in sposa a Gregorio, ora che Morte l`aveva separata dal primo sposo.
L`immagine della Madonna che Gregorio regalò alla Chiesa fu considerata allora miracolosa e la chiesa stessa fu dedicata da allora a Santa Maria della Consolazione, ispirandosi al sentimento che aveva riunito le sorti degli amanti e ricondotto a più miti consigli i genitori di lei.

Fu allora che i parrocchiani vollero eretta una chiesa intitolata alla Madonna della Consolazione e per riporvi l`immagine della Madonna dipinta da Gregorio, chiesa che prese il posto di quella più piccina che esisteva a quei tempi. E non solo: vollero anche costruire nella facciata della chiesa le due statue dei due innamorati a ricordo.

Tuttavia un giorno, mentre erano in corso i lavori della nuova chiesa sia l`immagine della Madonna sia le statue di Maria e Gregorio scomparvero nel nulla.
Ancora oggi ai lati dell`ingresso della Chiesa ci sono le due nicchie vuote senza le statue di Maria e Gregorio.




Altra curiosità: Se osservate sopra il portale dell`ingresso della chiesa attuale c`é una conchiglia in marmo appartenente alla vecchia chiesa. La leggenda vuole che il celebre pittore Botticelli passasse dal ponte della Fava mentre usciva dal luogo di culto una donna bellissima. Quella fu l`ispirazione per il celebre quadro della Venere, immortalata su una conchiglia uguale a quella che vide sopra il portale di Santa maria della Consolazione.

lunedì, ottobre 16, 2006

Misteri e storie di Venezia...

I Giardini di Sant'Elena e Garibaldi

Questa storia si svolge nei giardini di Sant'Elena, vicino a dove abitualmente si tengono le esposizioni della Biennale. Zona conosciuta anche da chi si è avventurato fin allo stadio della città lagunare. Ed è una storia recente, visto che risale al 1921.
Era notte e Vinicio Salvi, vecchierello veneziano, come ogni settimana s'avventurò nei giardini a caccia di lumache, che da noi si mangiano tranquillamente con la polenta. Cerca e fruga tra l'erba buia quando, avventurandosi oltre le spalle della statua di Garibaldi che ivi è posta, Vinicio, avvertì un forte colpo ed uno strattone sul braccio, tanto da farlo cadere per terra. Mentre si rialzava, vide un "ombra rossa" dileguarsi.
Raccontò l'avventura l'indomani al bar e gli amici fecero a gara per prenderlo in giro. Sostenevano che le uniche ombre rosse che Vinicio avesse visto fossero quelle di bar e bacari. A venezia, infatti, i bicchieri di vino rosso si chiamano, appunto, ombre rosse.
La notizia passò poi in secondo piano ma, una settimana dopo, una coppietta che si era appartata nei pressi della statua, venne disturbata da un' ombra rossa, e così successe anche ad un pescatore, che tornò anche a casa con un bernoccolo! Questi successivi episodi iniziarono a creare un po' di inquietudine e fu istituita una ronda di vigilanza.
La storia racconta che quando il gruppo di vigilanti passò di retro alla statua di Garibaldi, di nuovo apparve l'ombra rossa. Tutti balzarono indietro, ma stavolta l'ombra non svanì nè aggredì nessuno, bensì si fece avanti e nella notte si materializzò la sagoma di un vecchio garibaldino in divisa, con tanto di casacca rossa dei Mille.Lì per lì nessuno lo riconobbe, finchè qualcuno giunse a scoprire l'identità di quello spirito. Era Giuseppe Zolli nato nel 1838, che durante la spedizione dei 1000 fece la promessa di guardare le spalle di Garibaldi anche dopo la morte.
La città prese in simpatìa la storia di questo spirito e alla originaria statua di Garibaldi fu aggiunta, alle sue spalle, la statua bronzea di un garibaldino con le braccia incrociate e con le fattezze di Giuseppe Zolli che vigila proprio "le spalle" del proprio generale. Da allora, non vi furono più apparizioni ne sopratutto, attacchi alle persone.

Si può dire… una storia a lieto fine!



Notare la statua del garibaldino posta alle spalle di Garibaldi

venerdì, ottobre 13, 2006

Misteri e storie di Venezia...

Riva de Biasio e il Macellaio Carnico
Riva de Biasio... un posto strano per Venezia: le sue storie, la nebbia di questi periodi e l`acqua del canale che sbatte contro la pietra bianca che sfuma nel verde delle alghe... alle volte sembra quasi la Londra fumigginosa e cupa di Sherlock Holmes...

C`è la nebbia anche stasera e un gatto solitario, un bel maschio dal pelo nero, par cercar tra il vapor leggero che sale l`hostaria di fronte alla Chiesa di San Simeone Grande, nel campo dove c`è un ospizio per povere... A due passi da qui sta la casa in cui bruciò vivo un bambino di cinque anni, figlio di uno di quei Tesseri di pani nel lontano 27 novembre del 1621. Poi ci fu la peste. Un secolo e mezzo dopo cadde un pezzo di soffitto della chiesa e poco ci mancò che ammazzasse la Nobil Donna Lucrezia Cappello. Su quella Riva morì pure la duchessa di Baviera Teresa Cunegonda....



I brividi, tra la nebbia, salgono a grumi lungo la schiena, ripensando a queste storie e riconoscendo nell`ombra le sagome brumose dei luoghi, delle case. Ma seguiamo il gatto. Salta sopra un muretto proprio là dove c`era l`Hostaria di Biagio Cargnio, un salcicciaio (luganegher) che dalle povere terre carniche era venuto a cercar fortuna nella ricca Serenissima.
Il gatto miagola e par volerci raccontare di una sera come questa, tra la bruma scura e spessa sulla riva, secoli fa. E una storia ancora più oscura striscia assiepandosi lungo le mura silenti e buie, in attesa di esser sciolta. Correva l`anno 1500, o giù di lì, e una signora rincasava tenendo per mano il suo bambino. Una svista e il piccolo monello le fuggì di mano, scomparendo tra la nebbia fredda.

Nel silenzio, il vento par portaci voci lontane.

- Biasio, ti xe ti?
- Sì.
- Te gà ancora uno de quei dolzeti cossì boni?
- Entra ne la hostarìa e ti lo gavarà.
- Mi no gò schei.
- Caro el mio putelo, oggi son de bon cor, xe la Festa de la Sensa e te vojo far un regalo, ti xe mingherlin …

Il gatto soffia, rizza il pelo: ha riconosciuto la voce del salsicciaio e del bambino. Ma poi si calma e nella bruma la storia prosegue, le voci morte si rincorrono.

- Cargnico, porteme un po` del tuo sguaseto.
- La comandi, paron. Col pan o la polenta?
- Fa` come ti vol. E un bon bicier de vin.
- Come i prosede i lavori a do pasi da San Simeon Grande?
- Ben, ma ghe xe da sudar. Ser Zuane vol che il palazo sia finìo entro la fin de l`ano.
- Mandelo in mona …
- Nol se pol!

Un urlo squarcia la notte, mentre la donna è già rientrata convinta che il figlio l`abbia preceduta. Ma no, il bimbo è lì, morto, sgozzato dal macellaio nell`hostaria dove, nel silenzio della nebbia, non c`era nessuno. Sembra quasi di vederlo: lo squarta,lo macella, lo fa a piccoli pezzi, divide la polpa, lo taglia a fette, getta le ossa.

"El sguaseto xe pronto per un`altra volta, carne in umido bella tenera: un ottimo intingolo" è Biasio che urla " Son schei son schei!"

E subito un altro urlo...

"E questa cossa xe? Una falange … con l`unghia … ne lo sguaseto?"

Sì, nella scodella del cliente c`era un dito: il cucchiaio non mente. L`uomo prende il pezzo e corre alla Quarantia Criminale. Le sparizioni dei bambini, la perquisizione della hostaria e nel retrobottega i resti dei ragazzi uccisi e non ancora utilizzati. Vent`anni di delitti senza i ritrovamenti dei corpi... e il gatto se ne va, sparendo tra la nebbia, lasciandoci con la storia dell`assassino più famoso di Venezia.

lunedì, ottobre 09, 2006

Misteri e storie di Venezia...

Il povero fornaretto

Correva il Febbraio del 1507. Era l`alba e all`angolo tra la calle della Mandola e il ponte degli Assassini c`erano ancora accesi i cesendoli (lampioni). Un giovane Fornaretto (fornaio), Pietro Tasca, si stava recando al lavoro quando, alla luce incerta delle lampade vide qualcosa brillare al suolo: era il fodero d`una spada, tutto scintillante e dorato. Pietro, che era, per l`appunto, un povero fornaretto, la raccolse con sè pensando di usarne le monete che ne sarebbero derivate per chiedere in sposa la sua bella Annetta di casa Barbo, ossia d`una casata nobiliare.

Poco più in là, dopo il ponte, scorse un mucchio di stracci al suolo. S`accostò e scoprì ch`era un uomo in fin di vita: era stato pugnalato ed era tutto coperto di sangue. Pietro si accucciò e ne prese il capo tra le mani a sorreggerlo, finchè questi non gli spirò tra le braccia. Fu allora che sì alzò e si scoperse tutto imbrattato del sangue del morto. Stava per dare l`allarme quando, sul far del giorno, di lì passaron due gendarmi. Vendendo il fornaretto in piedi lercio di sangue ed il morto a terra, subito bloccarono Pietro., il quale tentava in vano di spiegarsi.
I gendarmi esaminarono il morto: era un Nobile, era il Conte Guoro. Quindi esaminarono Pietro e, oltre al sangue del Conte, gli trovarono addosso il fodero dorato della spada con lo stemma nobiliare. Nonostante l`implorare di Pietro, lo arrestarono e a quell`ora per strada non c`era nessuno che potesse aver visto cosa era effettivamente accaduto.

Lo incarcerarono ai piombi con l`accusa di assassinio ai fini di rapina: e questo, a quei tempi, a Venezia voleva dire pena di morte, aggravata dal fatto che il morto fosse un Nobile. Lui contava e sperava nella giustizia, ma ai piombi, sotto le mani dei Babai (gli antichi Inquisitori della Serenissima), finì per confessare quello che non era stato, quello che non aveva fatto e nessuno venne in suo soccorso. La casata dei brbo tacque e, anzi, l`avversario politico di questi, sapendo il Fornaretto legato alla famiglia dalla storia con Annina, si levò a principale accusatore del povero Piero.

Fu condannato a morte e portato tra le due colonne di Piazzetta San Marco il 22 marzo 1507. Al patibolo lo aspettava il boia con la sua mannaia e dalla terrazza al secondo piano di Palazzo Ducale il Doge Loredan di levava in tutta la sua maestà.
Il Doge diede l`ordine e il boia calò la scure. "Giustizia è fatta!" sentenziò allora il doge, come da copione.
"Nooooo!" si levò allora un grido tra la folla. Era un servo di casa Barbo che si faceva largo tra la folla assiepata in piazza bestemmiando e imprecando con la notizia che Lorenzo Barbo, il padrone e padre dell`Annina, aveva confessato straziato dei rimorsi alla moglie di essere lui l`autore (o il mandate) dell`omicidio di Alvise Guoro.

La Serenissima, che da sempre reggeva la sua autorità sulle basi di una Giustizia giusta per tutti, come da sempre è per tutti i grandi paesi mercantili, si raggelò alla notizia.
Da quel giorno, ad ogni fine udienza processuale della Serenissima la frase che veniva detta era "Ricordeve del poaro fornareto" a monito di ingiuste condanne e sul lato della Basilica di San Marco che guarda verso Palazzo Ducale due fiaccole vengon accese ad ogni crepuscolo e spente ad ogni alba in memoria del Povero Fornaretto, proprio rivolte verso il posto dove s`ergeva il patibolo... così è dal 1507, in onore di Pietro, come a chieder scusa dell`incapacità dimostrata allora dagli Inquisitori di riuscir ad indagare più a fondo...



Le fiaccole accese di notte e spente di giorno.

martedì, ottobre 03, 2006

Misteri di Venezia...

Una madre salvata dalla figlia

Siamo in una notte di novembre del 1929, ossia in pieno dopoguerra, dalle parti di campo Ruga. Questi luoghi, un po` lontani dai sentieri turistici, si trovano in quel posto che si dice essere la coda del pesce "Venezia", e cioè dalle parti di San Pietro di Castello (non scordiamolo mai: primo duomo veneziano e, attualmente, unico campo in erba rimasto). E proprio dalla riva che entra in calle che va al sottoportico Zurlin (il sottoportico più basso di Venezia) inizia la nostra vicenda.

Quella notte nevicava mentre per la laguna passava una gondola. Al riparo del felze (ossia quella sorta di capottina che mettevano le gondole d`inverno) stava il dottore personale del vescovo, che ritornava a casa dopo aver prestato le sue cure.
All`altezza della riva che conduce alla calle del sottoportico Zurlin, il medico udì una voce: era una ragazza che gridava aiuto avvolta nel suo scialle nero, perchè sua madre stava male. Sorpreso che la ragazza avesse lo riconosciutocome dottore, prese comunque la sua borsa in cuoio e si affrettò a soccorrere la madre della ragazza. Entrò in una delle porte della corte interna e salì le scale. Là trovò una donna, che era stata in tempi andati al servizio presso di lui come domestica, ammalata di polmonite.



Il dottore fece di tutto per quella donna, complimentandosi di avere una figlia così premurosa: se la domanda d`aiuto fosse stata invocata anche la mattina dopo sarebbe stato troppo tardi.
Ma in quel momento la madre strabuzzò gli occhi: "Mia figlia? Ma è morta più di un mese fa!". Il dottore non voleva crederci e si girò, ma non vide più la ragazza. La madre, a prova che quello che diceva era vero, indicò al dottore di aprire l`armadio di fronte al letto per mostrargli le sue scarpe e il suo scialle. Il dottore riconobbe lo scialle nero che aveva visto addosso alla ragazza, che tuttavia, ora, era perfettamente asciutto.