mercoledì, dicembre 27, 2006

Misteri e storie di Venezia...

Il merletto di Burano

Viveva a Burano, nella seconda metà del XV secolo, un giovane pescatore di nome Niccolò. Era bello, prestante e dotato di un`innata gentilezza e bontà d`animo, tanto che suscitava in tutti simpatìa e tutte le giovani buranesi in età da marito gli facevano il filo.

Viveva a Burano, sempre in quegli anni, una giovane ragazza di nome Maria. Abile nell`arte del ricamo come tutte le ragazze dell`isola, Maria era nota in tutta Burano per la sua bellezza, il suo buon cuore e le sue maniere educate e gentili. Non c`era ragazzo che non se ne fosse innamorato.

Come era prevedibile Niccolò e Maria s`innamorarono perdutamente l`uno dell`altro e decisero di sposarsi.

Il giorno prima delle nozze Niccolò usci in laguna a pescare. A differenza di come faceva di solito, quel giorno uscì in barca da solo: si sa, il giorno prima delle nozze un uomo ha da pensare... in solitudine.
Era che buttava le reti in mare quando un dolce suono gli giunse. Cessò il suo lavoro e si pose in ascolto: la laguna taceva. Ricominciò ad armeggiare con le reti e pure la musica ricominciò a scivolar sulle onde: era un suono dolcissimo che gli entrava dentro e sembrava che tutto il suo corpo, tutti i suoi organi, vibrassero all`unisono con quella melodìa.
Niccolò si guardò intorno e vide la sua barca circondata da una...due..tre..cinque... sei donne meravigliose e la musica che ascoltava era il loro canto. La sua barca era incappata in un branco di sirene. La malìa del canto era profonda ed intensa, quasi quanto le bellezza di quei volti e l`incanto degli occhi delle sirene. Era come ascoltar col sangue: dentro gli ribolliva e gli si placava quieto, come rinato a nuova vita. Le sirene non dicevan nulla, sol cantavano per lui: la bellezza profonda di quel momento andava ben oltre di quanto un uomo potesse desiderare.

Eppure, pian piano, dal fondo del cuore di Niccolò cominciò a sorgere un`immagine. Un`immagine che lo prendeva ancor più in profondità di quel canto: era il volto della sua Maria. La visione si accompagnava al canto delle sirene, rendendolo ancor più dolce pur mitigandone la malìa e annullandone l`irresistibile forza, e non dava cenno di abbandonare il cuore di Niccolò.
Alla fine le sirene tacquerò improvvisamente: avevano ben capito quel che era successo, ossia d`esser state battute da una donna terrena. Non se la presero a male, anzi! Una di loro s`avvicinò alla barca di Niccolò e gli parlò: "E` talmente raro imbattersi nel potere dell`amore, che quasi avevamo scordato la luce che brilla negli occhi di chi lo vive davvero! Tieni -e gli allungò un involto d`alghe- ti facciamo questo dono e, se la tua bella merita il tuo amore come pensiamo, saprà trarne profitto!"

Niccolò tornò tosto a riva e raccontò tutto a Marìa e il giorno seguente si sposarono felici. Dentro l`involto di alghe Marìa trovò un ricamo etereo e magnifico fatto con la schiuma del mare. Dotandosi di una buona dose di testardaggine e tanta pazienza, per lunghi giorni e lunghe notti, provò a copiare quel capolavoro...finchè ci riuscì!
Nacque così il famoso Merletto di Burano!


Nota Storica:
Il merletto ad ago, che nasce a Venezia nella seconda metà del XV secolo, deriva dal ricamo, in particolare da quei punti che tendono a creare effetti di trasparenza: il punto tagliato, lo sfilato (vengono tolti alcuni fili dalla tela e poi si decorano i vuoti con vari punti), il reticello (il tessuto viene sfilato finché rimangono solo esili coordinate dalle quali si parte per creare i motivi decorativi). Questa tipologia è nota anche come "punto in aria", in quanto viene realizzata interamente con ago e filo, senza alcun supporto tessile.Il merletto ad ago si realizza su un cuscinetto cilindrico (uguale al tombolo dei fuselli) dove viene appoggiato il disegno tenuto sollevato dal murello, un piccolo cilindro di legno; seguendo i profili del disegno si esegue l’ordito (che verrà poi eliminato) sul quale si costruisce, con ago e filo, il merletto.

venerdì, dicembre 22, 2006

Misteri e storie di Venezia...

La Giustizia nella Serenissima


Si dice che nulla sfuggisse alla lunga mano degli Inquisitori Veneziani, chiamati anche "Babai"...
....tanto che ancora oggi, per spaventare i bimbi ed ammonirli a far i buoni, si usa dir minacciosi: "Guarda che chiamo il Babau!"

Per ricordar di ciò, si narra la storia del nobile francese che, giunto in città, venne subito derubato della cospicua somma di denaro che teneva nel suo borsello di velluto verde.Rimasto senza sostanze, decise di far rientro in Patria... Prima però si dileggiò a criticare ampiamente ed apertamente l'inefficienza del Governo veneziano.
S'imbarcò quindi per il viaggio di ritorno, tutto adirato. Quando fu sul punto di attraversar la bocca di porto di Sant'Andrea e, quindi, lasciar definitivamente Venezia, però la sua imbarcazione fu fermata da una gondola che trasportava un figuro inquietante, dal volto coperto, e vestito tutto di nero. Questi chiese, con fare autoritario, se fosse lui il nobile francese che era stato derubato.
Il nobile rispose affermativamente e l'uomo ammantato di scuro gli fece rovesciar in barca il cadavere d'un poveraccio che ancora stringeva tra le mani il sacchetto di velluto verde. Nell'effettuar la macabra consegna, l'Inquisitore disse: "Eccovi fatta giustizia! Riprendete tutto il vostro oro e partite, guardandovi bene dal rimetter piede sul nostro Dominio che avete ingiustamente calunniato!"
Il francese partì con la coda tra le gambe...

....Probabilmente, se avesse esaminato il corpo del ladro, non avrebbe notato nessuna ferita evidente, se non un piccolo taglio a livello dell'addome... Era infatti uso, tra gli agenti di giustizia serenissimi, un tipo di stiletto molto particolare e terribile!Era uno stiletto di vetro smerigliato e taglientissimo che veniva piantato nelle carni della vittima e spezzato alla base attraverso un agile colpo di polso. In tal modo la lama restava difficilmente estraibile dalla profonda ferita -specie per la chirurgia dell'epoca- lasciandola aperta ad uccider la vittima di un'inarrestabile emoraggia interna...
..dei simpaticoni, insomma! ^__*

mercoledì, novembre 22, 2006

Misteri e storie di Venezia...

Torcello e il Ponte del Diavolo

Si narra che, durante l`occupazione austriaca di Venezia, una bella ragazza della Serenissima si fosse innamorata di un ufficiale dell`esercito occupante. La storia d`amore era impensabile e, infatti, fu osteggiata in primis dalla famiglia della ragazza stessa. I genitori, imbarazzati e intimamente offesi dal sentimento della figlia, allontanarono la ragazza da Venezia. Nel frattempo l`ufficiale austriaco venne assassinato, senza che ne fosse mai scoperto l`assassino... sebbene si conoscessero bene i mandanti, tra l`oligarchia veneziana.


La ragazza però cominciò a deperire, a non mangiare più, al punto che si cominciò a temere per la sua vita. Si fece avanti un amico di famiglia, dicendo che forse c`era un modo per farle incontrare nuovamente il suo amato. Costui, infatti, suggerì alla ragazza una maga che, si diceva, aveva la facoltà di mediare demoni e diavoli.

E così fu... La maga evocò uno di quei demoni che, secondo leggenda, celano sotto la lingua le chiavi che han la facoltà di aprire i tempi e gli spazi. Il diavolo evocato giunse ad un patto con la maga: avrebbe permesso ai due amanti di ritrovarsi se lei gli avesse consegnato le anime di 7 bimbi cristiani morti prematuramente.
Per il convegno dei due amanti era necessario trovare un ponte, in un luogo isolato e fu scelto il ponte di Torcello. Pochi giorni prima della Vigilia di Natale la maga e la ragazza si diedero appuntamento, nella notte, sul lato destro del ponte. Verso mezzanotte la maga consegnò una candela accesa alla veneziana, intimandole il silenzio, quindi salì fin nel mezzo del ponte.
Lì evocò il diavolo che si materializzò giantesco e nero davanti al lei. Senza dir nulla il demonio sfilò da sotto la sua lingua una delle chiavi d`oro e la porse alla maga.La vecchia lanciò la chiave nell`acqua, dove l`ombra del ponte si rifletteva sotto la luna.
A quel punto dall`altro lato del ponte apparve, per incanto, il giovane ufficiale austriaco. Seguendo le istruzioni, la ragazza attraversò il ponte passndo tra il demone e la strega. Quando raggiunse il suo amato, soffiò sulla fiamma e spense la candela. La storia narra che sia sparita col suo lui in tempi e luoghi ove, si suppone, abbiano trovato quella felicità negata loro sulla terra.

A quel punto il diavolo e la strega si diedero appuntamento la notte della Vigilia di Natale, per la consegna delle anime che la maga doveva al demone come pattuito. Si scelse la data del 24 dicembre perchè, in quella notte le forze del bene e del male erano occupate in altre opere.... ma qualcosa andò storto...
La maga morì in un incendio e non potè mai recarsi al ponte a pagar il suo debito... da allora, si narra, la notte della Vigilia di Natale un gatto nero attente inutilmente sul ponte la vecchia che venga a immolargli le 7 anime di bimbi cristiani...come promesso...




E davvero c’è quel gatto nero, ma è la Nerina, la gatta della Locanda Cipriani che va a trovare i mici della Giuliana, la decana ultra ottantenne di Torcello che abita proprio davanti il Ponte del Diavolo.


sabato, novembre 18, 2006

Misteri e storie di Venezia...

La Madonna della Salute

Correva l`anno 1600 e Venezia era impegnata in un`ardua battaglia per liberare i territori italiani dagli spagnoli e dai tedeschi. Furono in special modo i combattimenti contro i teutoni e le armate del nord Europa a riportare a Venezia un vecchio nemico, incarnato, se così si può dire, nel temibile Rattus Norvegicus.

Nel giugno del 1630 scoppiò nuovamente a Venezia un`epidemia di Peste, la famosa Morte Nera. I Provveditori alla Sanità, già operanti durante la grossa epidemia del 1575, emanarono molte disposizioni come bonificare le case insane, dividere gli ammalati nei vari ospedali e mandare a lavorare nelle campagne le persone non infette. Inoltre al celebre Lazzaretto Vecchio, già usato durante la prima ondata di peste, si associò in breve il Lazzaretto Nuovo -sempre in isola- per i malati.

Ma tutto ciò sembrava non bastare più e la Morte Nera imperversava per Venezia. Le vittime solo nel mese di novembre furono 11.966. Fu allora che il Doge e Patriarca di Venezia,Giovanni Tiepolo, oridnò preghiere pubbliche in tutta la città e processioni. Inoltre fece voto alla Madonna di erigere un tempio a suo nome, se mai l`epidemia si fosse sanata.
Nel gennaio del 1632 furono abbattute le case del Seminario vicino la punta della Dogana per far posto alla nuova costruzione e il Doge presenziò alla posa della prima pietra del tempio. Dopo un anno e mezzo e con quasi 50.000 vittime la peste finì e il 28 novembre fu decretato Giorno ufficiale dalla liberazione del morbo.

Una leggenda narra che la Madonna apparve in Corte Zorzi e fermò la Peste. In molti quadri di quegli anni questa scena è rappresentata con la Madonna che frena, con un palmo di mano, la Peste, rappresentata come uno scheletro completamente nero. Dove ciò avvenne ancora oggi si può vedere una mattonella rossa sul lastricato della corte.

Corte Zorzi


La Chiesa della Salute venne consacrata nel novembre del 1687. Da allora, ogni 21 novembre, sul Canal Grande viene eretto un ponte di barche, il famoso quarto ponte sul Canal Grande, che congiunge San Marco alla Salute, ed è usanza che tutti i veneziani (anche chi non vi risiede più) in quel giorno vadano ad accendere un lumino nel Tempio sulla punta della Dogana come rito propiziatorio per l`anno a venire e per ringraziare la grazia concessa dalla Madonna, liberando Venezia dalla peste del `600.




mercoledì, novembre 15, 2006

Misteri e storie di Venezia...

Ca` Corner e il Peggy Guggeheim

Caterina Cornaro , sposa di Giacomo il Bastardo re di Cipro, dopo la morte del marito fu sostenuta da Venezia come “figlia” nel governo dell’isola. Successivamente, nel timore di una possibile perdita di Cipro in caso di nuovo matrimonio di Caterina, il Senato della Repubblica inviò da lei il fratello Zorzi per convincerla ad abdicare in favore della Serenissima. Caterina accettò: correva l’anno 1489.
Al rientro in Patria le furono riservati onori regali. Ancor oggi il corteo acqueo e la regata storica, che si svolgono ogni anno la prima domenica di settembre, ricordano il ritorno di Caterina a Venezia. Caterina passò la sua vita tra Venezia -il suo palazzo sul Canal Grande conserva il nome di Cà Corner de la Regina- ed Asolo. In tale splendida località, infatti, la Repubblica le aveva assegnato il possesso del castello ed un cospicuo appannaggio: Caterina vi tenne una corte veramente splendida fino alla sua morte avvenuta nel 1510.

Castello di Asolo

La famiglia dei Corner, da lì, divenne, si può facilmente immaginare, una delle più potenti tra le famiglie nobili veneziane, fornita di ricchezze favolose. Il palazzo Corner,costruito in seguito e imponente al punto da farlo definire la Cà Granda, era divenuto famoso per il suo fasto straordinario.
Tanto che si narra che sia stata la potenza e l`influenza dei Corner a Venezia a determinare la forma bizzarra del Palazzo Venier dei Leoni, ovvero l`attuale sede del Peggy Guggenheim Museum.

Ca' Corner

Correva, infatti, l`anno 1748 che si cominciò la costruzione del Palazzo, buttando le fondamenta ed innalzando il basamento. Fu allora che i Corner si opposero alla continuazione dello stesso, sostenendo che l`innalzamento del palazzo avrebbe ostruito loro la vista sulla laguna di Venezia.Non rimase, quindi, alla famiglia "dirimpettaia" dei Corner interrompere la costruzione del palazzo loro, lasciandolo così come lo possiamo vedere noi oggi, ossia fermo al solo basamento, tanto che i veneziani ancora oggi lo chiamano il "palazzo incompiuto".

Il Guggenheim

NB. Ca` Corner è ancora oggi la sede della Provincia di Venezia.

sabato, novembre 11, 2006


Feste di Venezia...e dintorni

San Martino

La leggenda di San Martino racconta di come Lui, nobile cavaliere, in una giornata grigia, piovosa e ventosa di novembre, tagliasse con la spada metà del suo caldo e rosso mantello per donarlo ad un poveretto infreddolito. Il poveretto benedisse il cavaliere tanto generoso e San Martino, quindi, prosegì per la sua strada a cavallo, in mezzo ad una pioggia che si faceva sempre più fredda e ventosa, quasi a strappargli quel mezzo mantello che gli rimaneva.Quando ad un tratto il cielo si aprì e al Cavaliere apparve Dio a ringraziarlo della generosità mostrata col poverello. Da allora a ricordo di ciò a metà novembre si apre la cosidetta Estate di San Martino, ossia un periodo di cielo sereno e assolato, seppur nel freddo dell`autunno.

L`11 novembre a Venezia, il giorno di San Martino, è uso che i bambini, muniti di coperchi e mestoli, discendano per per calli a gruppetti battendo rumorosamente gli attrezzi di cui son forniti. Nel far ciò intonano una filastrocca che fa così:

S. Martin xe `ndà in sofita
a trovar ea so` novissa
nona Rita no ghe gera
S.Martin col cùeo par tera
E col nostro sachet
ìcari signori xe S.Martin
Trad. "San Martino è andato in soffitta/ a trovar la sua fidanzata/ nonna Rita non c`era/ S. Martin col culo a terra/ E col nostro sacchettino/Cari signori per San Martino"

Filastrocca di oscuri natali e ancora più oscuro significato..specie per i bimbi delle elementari e dell`asilo.Lo scopo della scorribanda chiassosa tra calli e callette è quella di raccogliere, appunto, tra negozianti e passanti, qualcosa per questo povero San martino rimasto "col culo a terra", come recita la canzonetta. Ossia la versione, se volete, veneziana del "dolcetto o scherzetto" di origini anglosassoni.

E` tipico di questo giorno il classico biscotto a forma di cavaliere a cavallo con spada e mantello il "San Martin". Il dolce di S. Martino è fatto di pasta frolla, glassa di zucchero e praline a forma del santo a cavallo con spada e mantello.



La Festa di San Martino, ad ogni modo, è tipica di larga parte del Veneto Orientale, almeno fino a Treviso, essendo ricollegabile al momento dell`apertura del vino novello e delle prime castagne.

mercoledì, novembre 08, 2006

Misteri e storie di Venezia...

L`avvocato e la scimmia

Girando tra San Marco e l`Arsenale, dal ponte dell`Angelo si può scorgere un palazzo appartenuto alla famiglia Nani (o, secondo alcuni, dai Soranzo). La cosa particolare del palazzo è l`altorilievo di un angelo, scolpito nell`intento di benedire un globo decorato da una croce. La storia di questa icona è tramandata dai frati Cappuccini.




In questa casa abitava nel 1552 un losco avvocato della Curia Ducale che si diceva ottenesse molti soldi attraverso imbrogli e raggiri. Nonostante ciò, si narra, che costui fosse pure molto fosse devoto alla Maria Vergine.
Un giorno andò a mangiare da lui padre Matteo, il Superiore dei Cappuccini. Padre Matteo rimane stupefatto dalla presenza di una scimmia in casa dell` avvocato, dato che la scimmi era tanto intelligente e sveglia da aiutare nelle faccende domestiche. Non ci mise molto il Cappuccino a notare una presenza demoniaca in questo animale. La scimmia, di rimando, cominciò a comportarsi stranamente e a nascondersi sotto il letto.

Padre Matteo allora gli parlò: "Rivelati quel che sei, scimmia!" E lei: "Io sono il demonio e sono venuta in questa casa per prendere l`anima di questo avvocato. Lui mi deve molti dei suoi titoli.". "E perché non te l`hai ancora portato all`inferno?" disse il padre. "Perché ogni sera prega la Madonna. Basta che solo una volta se ne dimentichi che subito se ne verrà con me a bruciare nelle fiamme".
In quel momento Padre Matteo ordinò al diavolo di uscire dalla casa. E la scimmia: "Dall`alto mi è stato ordinato di non uscire dalla casa senza fare qualche danno". E il padre: "Farai sì qualche danno. Adesso dalla casa ci uscirai sfondando il muro." E così il demonio se ne uscì.
I due continuarono a cenare e a parlare di tutte le cose brutte successe fino ad ora. Padre Matteo disse all`avvocato di pentirsi di tutte le malefatte compiute fin d`ora e, preso un lembo della tovaglia, prese a torcerlo fino a che del sangue cominciò a gocciolare. "Questo è il sangue dei poveri da te succhiato con tutte le tue ingiuste estorsioni."

"E per il buco nel muro lasciato dal diavolo?" domandò l`avvocato "Al posto del buco ci porrai un`immagine di un angelo cosicché gli angeli cattivi alla sua vista ne fuggiranno" rassicurò il buon Padre.
E così fece.

domenica, novembre 05, 2006

Misteri e storie di Venezia

La Madonna dell'Orto e la Statua di Giuda

La bella chiesa gotica, che sorge dietro la Fondamenta de la Sensa, e che già riconosciamo arrivando a Venezia col treno dal campanile rosso a cupolotta, un tempo era dedicata a San Cristoforo. Prima che, cioè, in un orticello poco distante dalla chiesa uno scultore vi ponesse piccola statua dedicata alla Madonna, la quale cominciò ad essere adorata, in breve, dagli abitanti del Sestiere de Canaregio perchè ritenuta miracolosa.




Siamo nella prima metà del `300 e nella parte superiore della chiesa a Paolo dalle Masegne, un mastro scalpellino, fu dato l`incarico di scolpire le statue dei dodici apostoli. Ora, non molti lo sapranno, ma, in epoca medievale, Giuda non veniva mai ritratto con le sue vere sembianze, usando, al posto di quelle autentiche, le fattezze di San Mattia, il santo che prese il suo posto dopo il noto suicidio.

Paolo Delle Masegne, non lo sapeva nessuno e nemmeno i fratelli di lui, era in realtà un adoratore del demonio e la chiesa di San Cristoforo doveva essere un luogo di culto satanico, ma nessuno, neanche i suoi fratelli, lo sapevano. Così racconta la leggenda. A lui il demonio aveva consegnato una delle 30 monete di Giuda usate per il tradimento di Gesù e aveva impartito l`ordine di inserire questa moneta nella statua del discepolo traditore a cui Paolo aveva dato le sembianze vere.
Paolo così fece, ma per portare a termine con successo quanto dettatogli dal demonio era necessaria una messa dedicata, appunto, alla realizzazione dell`opera stessa. Paolo prese accordi con il prete e si stabilì la data per la Santa Messa. Questa avvenne nel corso della settimana Santa del 1366.

Tra la gente presente alla cerimonia c`era anche Isabella Contarin, una bambina molto famosa a Venezia tanto da essere considerata una santa. Isabella aveva allora dodici anni e si diceva avesse la capacità di dialogare con l`aldilà e di leggere il futuro guardando l`aura delle persone.
Nel pieno della cerimonia la bambina guardò negli occhi Paolo Delle Masegne indicandolo come un discepolo del Diavolo. Non fece neanche in tempo di dirlo che lo scalpellino le si scagliò contro. Tuttavia un pronto credente prese il dispensatore dell`acqua santa che aveva per le mani e la spruzzò contro il seguace di Satana. Paolo Delle Masegne cadde per terra di colpo come svenuto.

A quel punto, dice la leggenda, il cielo si oscurò e il vento soffiò forte, per cessare poi d`improvviso com`era cominciato. Quando Paolo rinvenne non si ricordò di nulla. La statua rimase comunque al suo posto come la vediamo ancora oggi.


Curiosità: Madonna dell`Orto è, attualmente, l`unica chiesa di Venezia che conserva l`originale sagrato in cotto a spina di pesce. Nonchè lungo la fondamenta stessa, al numero 3399, abitava il celebre pittore Tintoretto, di cui la Chiesa conserva splendide opere oltre alla tomba stessa.

giovedì, novembre 02, 2006

Misteri e storie di Venezia...

Il Pozzo alle Mercerie e la Bianca Signora

Questa volta ci troviamo dalle parti delle Mercerie, vicino al ponte dei Bareteti, in Corte Locatello. Per intenderci è la stradina parallela delle Mercerie che vanno a Rialto tra Trevissoi e il Sempione. La nostra storia è ambientata in questa graziosa corte, chiusa tra le quinte di lussuosi negozi, con al centro il solito pozzo veneziano. In tutte le corti di Venezia, infatti, si trovano dei pozzi che erano una delle poche risorse idriche della città lagunare.


Nel tempo in cui si svolse la nostra storia, però, regnava a Venezia un periodo di siccità e dal pozzo bisognava prender per sè meno acqua possibile, per accontentare tutti. Immaginatevi quante baruffe facevano la povera gente.
Era notte quanto un barcaiolo, recandosi al pozzo di corte Locatello, trovò una signora vestita di bianco. Subito prese paura per via dell`ora buia e di certe dicerie che raccontavano di streghe vaganti nella notte e particolarmente feroci, visto il periodo di siccità. Ma la signora vestita di bianco disse al barcaiolo: "Non temere! Ma se stanotte non tornerai a casa prima dell`alba ti capiterà qualcosa di strano".

Il barcaiolo, impaurito, minacciò la signora di andarsene continuando ad attingere l`acqua dal pozzo. La signora invece continua a pregarlo insistentemente di andarsene. Ad un certo punto dal sottoportico entrò un uomo che assalì con un lungo coltello il barcaiolo e lo coplì gravemente. La colluttazione durò quel tanto che bastava all`assalitore per rendersi conto che il barcaiolo non era quello che lui cercava e, quindi, di pentirsi del suo atto.
La signora in bianco allora prese il coltello intriso di sangue lasciato cadere a terra dall`assalitore e si avvicinò al pozzo, facendone cadere dentro tre gocce di sangue. In quel momento l`acqua cominciò a salire dal pozzo fino a traboccare. Prese allora il suo fazzoletto, pulì la ferita del barcaiolo che cominciò subito a rimarginarsi.

Il barcaiolo si rianimò e lui e l`assalitore si guardarono negli occhi sentendo la signora in bianco dire a loro che da quel momento in poi vi sarebbe stata acqua in abbondanza. Se ne andarono non prima di aver visto la signora svanire nel nulla.




Una versione precedente dice che la signora in bianco sia stata una vittima della gelosia del proprio amante e murata all`interno del pozzo per occultare l`omicidio compiuto da questi. Da allora il suo spirito aleggia nella corte nelle notti di luna nuova.


domenica, ottobre 29, 2006

Misteri e Storie di Venezia...

la Bragora e la sua Melusina


Alla Bragora, cioè proseguendo un po` oltre San Marco, c`é uno dei sottoportici più bassi di Venezia. Sulla volta del sottoportico c`è un cuore di pietra rossa, legato ad una storia molto vecchia.



Nella casa che sta sopra il sottoportego, si racconta vivesse Orio, un giovane pescatore. Una mattina di novembre, prima dell`alba, prese la sua barchetta come al solito e vogò fino alla bocca da porto* di Malamocco, dove gettò le sue reti. Era ancora notte sulla laguna e, improvvisamente, dalle reti in acqua venne un lamento: "Per piacere, liberami, ti prego!"
Dalla laguna scura emersero le mani ed il viso di una splendida ragazza. Orio si spaventò, facendo un balzo all`indietro sul barchino e chiese tremante: "Non sarai mica una strega caduta in acqua... vero?"
"Non preoccuparti - rispose lei- Mi chiamo Melusina" Gli sorrise e lui, acquietatosi, rispose al sorriso. In quello lei si tirò su sulla barca, emergendo in toto dall`acqua e rivelando, dalla vita in giù, una grande coda di pesce. Orio non se ne turbò e rimase a parlar con lei fino al sorgere del sole. Al momento del commiato al giovane pescatore piangeva il cuore e, resosi conto di essersi innamorato di lei, le chiese di poterla incontrare ogni notte. E così fu.

Passò il tempo e passarono le notti, finchè Orio decise di chiederle la mano: la voleva sposare. Melusina gli disse che, per accontentarlo, doveva perdere la libertà del mare e ottenere un paio di gambe. Orio insistette e lei acconsentì, ma ad una condizione:fino al giorno delle nozze non si sarebbero potuti vedere di sabato.

Tutto andò liscio per due settimane ma al terzo sabato il giovane non seppe resistere a andò al solito posto. Aspettò ma lei non si fece viva. Ad un certo punto un turbinio d`acque scosse il silenzio ed una grande serpe si dimenò nell`acqua chiamandolo per nome: "Ti avevo detto di non venire! Per un maleficio sono costretta a trasformarmi in serpe ogni sabato. Ma se mi sposerai rimarrò per sempre bella come mi conosci"
Orio sorrise, nè si spaventò. Alla fine si sposarono ed ebbero tre figli. Il pescatore aveva così una famiglia e il lavoro andava a gonfie vele. Ma un giorno Melusina si ammalò e morì e volle essere seppellita in mare.

Orio, da solo in casa coi figli e il lavoro da badare, non sapeva come fare. Ma qualcosa di strano avvenne in quella casa. Ogni volta che rincasava trovava sia i figli che la casa perfettamente a posto. Pensò fosse la sua vicina. Ma un giorno, di sabato, rincasato prima del solito trovò in cucina una serpe. Prese l`accetta e la colpì fino a farla stramazzare senza vita.
Da quel momento la casa e figli rimasero di colpo trascurati. Si rese conto solo dopo che la serpe era la sua Melusina e lui l`aveva uccisa definitivamente. A ricordo di questa storia un cuore in pietra è stato posto dove in origine fu la casa di Orio e Melusina.


La storia della donna-serpe non è solo veneziana, nè si chiama melusina solo da noi. Però è sempre bello raccontarvele, specie se c`è mezzo riscontro dal vivo...che fa pensare che sia successo per davvero... come quel cuore in pietra...


* Bocca da porto: sono le aperture della laguna al mare. le famose a Venezia sono tre: quella tra Punta Sabbioni e il Lido (a est), quella tra il Lido e l`isola di Pellestrina (Malamocco, appunto, la centrale) e quella tra Pellestrina e Chioggia (a ovest).

domenica, ottobre 22, 2006

Misteri e Storie di Venezia...

la Chiesa di S.Maria della Consolazione

Questa storia ci porta nelle zone di Ponte della Fava tra San Lio e San Bortolomio, davanti alla chiesa dedicata a Santa Maria della Consolazione. A Venezia, però, questa chiesa è più nota come Santa Maria della Fava, in ricordo di un vecchio negozietto di fave, oggi non più presente.

Tutto si svolse quando ancora l`attuale chiesa non era eretta, ma ne esisteva una più piccola che si apriva direttamente sulla riva e, dove sorge l`attuale, all`epoca c`era il piccolo cimitero di pertinenza della chiesetta antica.
Maria era figlia di un ricco commerciante che si era innamorata di Gregorio, un pittore di immagini sacre. Da tre anni costoro erano amanti segreti e clandestini, quando il padre di lei decise di darla in sposa ad un altro: ovviamente un giovanotto ricco e di buona famiglia, a differenza del pittore. Maria ubbidì alla famiglia e, a malincuore, sposò chi il padre le suggeriva. Ma non durò molto: di lì a tre anni morì dopo una breve malattia e venne sepolta proprio nel cimitero della piccola chiesetta che all`epoca sorgeva innanzi al ponte delle Fave.

Venne l`inverno e a Venezia cadeva la neve quando, nel piccolo cimitero si levò una figura: era Maria. Per Grazia di una volontà più grande, era tornata in vita. Ella andò allora dallo sposo ed egli la cacciò come fosse il demonio in terra. Maria andò, quindi, dai genitori che la ripudiarono come già il marito aveva fatto.
Gregorio stava chino al suo tavolo da lavoro, dipingendo l`immagine della Madonna da donare alla chiesa, quando Maria gli si accostò rincuorandolo: "Non aver paura, non ti farò del male..." Gregorio non ebbe paura e stringe la cara Maria tra le braccia. Quindi, senza dir niente a nessuno, curò e vestì la sua amata fino a condurla in chiesa, al proprio fianco, il giorno di Natale, tra lo stupore generale.

Alcuni, vedendoli e riconoscendo Lei, gridarono al miracolo. Anche i genitori di Maria, ritrovando al fine la figlia, la vollero in sposa a Gregorio, ora che Morte l`aveva separata dal primo sposo.
L`immagine della Madonna che Gregorio regalò alla Chiesa fu considerata allora miracolosa e la chiesa stessa fu dedicata da allora a Santa Maria della Consolazione, ispirandosi al sentimento che aveva riunito le sorti degli amanti e ricondotto a più miti consigli i genitori di lei.

Fu allora che i parrocchiani vollero eretta una chiesa intitolata alla Madonna della Consolazione e per riporvi l`immagine della Madonna dipinta da Gregorio, chiesa che prese il posto di quella più piccina che esisteva a quei tempi. E non solo: vollero anche costruire nella facciata della chiesa le due statue dei due innamorati a ricordo.

Tuttavia un giorno, mentre erano in corso i lavori della nuova chiesa sia l`immagine della Madonna sia le statue di Maria e Gregorio scomparvero nel nulla.
Ancora oggi ai lati dell`ingresso della Chiesa ci sono le due nicchie vuote senza le statue di Maria e Gregorio.




Altra curiosità: Se osservate sopra il portale dell`ingresso della chiesa attuale c`é una conchiglia in marmo appartenente alla vecchia chiesa. La leggenda vuole che il celebre pittore Botticelli passasse dal ponte della Fava mentre usciva dal luogo di culto una donna bellissima. Quella fu l`ispirazione per il celebre quadro della Venere, immortalata su una conchiglia uguale a quella che vide sopra il portale di Santa maria della Consolazione.

lunedì, ottobre 16, 2006

Misteri e storie di Venezia...

I Giardini di Sant'Elena e Garibaldi

Questa storia si svolge nei giardini di Sant'Elena, vicino a dove abitualmente si tengono le esposizioni della Biennale. Zona conosciuta anche da chi si è avventurato fin allo stadio della città lagunare. Ed è una storia recente, visto che risale al 1921.
Era notte e Vinicio Salvi, vecchierello veneziano, come ogni settimana s'avventurò nei giardini a caccia di lumache, che da noi si mangiano tranquillamente con la polenta. Cerca e fruga tra l'erba buia quando, avventurandosi oltre le spalle della statua di Garibaldi che ivi è posta, Vinicio, avvertì un forte colpo ed uno strattone sul braccio, tanto da farlo cadere per terra. Mentre si rialzava, vide un "ombra rossa" dileguarsi.
Raccontò l'avventura l'indomani al bar e gli amici fecero a gara per prenderlo in giro. Sostenevano che le uniche ombre rosse che Vinicio avesse visto fossero quelle di bar e bacari. A venezia, infatti, i bicchieri di vino rosso si chiamano, appunto, ombre rosse.
La notizia passò poi in secondo piano ma, una settimana dopo, una coppietta che si era appartata nei pressi della statua, venne disturbata da un' ombra rossa, e così successe anche ad un pescatore, che tornò anche a casa con un bernoccolo! Questi successivi episodi iniziarono a creare un po' di inquietudine e fu istituita una ronda di vigilanza.
La storia racconta che quando il gruppo di vigilanti passò di retro alla statua di Garibaldi, di nuovo apparve l'ombra rossa. Tutti balzarono indietro, ma stavolta l'ombra non svanì nè aggredì nessuno, bensì si fece avanti e nella notte si materializzò la sagoma di un vecchio garibaldino in divisa, con tanto di casacca rossa dei Mille.Lì per lì nessuno lo riconobbe, finchè qualcuno giunse a scoprire l'identità di quello spirito. Era Giuseppe Zolli nato nel 1838, che durante la spedizione dei 1000 fece la promessa di guardare le spalle di Garibaldi anche dopo la morte.
La città prese in simpatìa la storia di questo spirito e alla originaria statua di Garibaldi fu aggiunta, alle sue spalle, la statua bronzea di un garibaldino con le braccia incrociate e con le fattezze di Giuseppe Zolli che vigila proprio "le spalle" del proprio generale. Da allora, non vi furono più apparizioni ne sopratutto, attacchi alle persone.

Si può dire… una storia a lieto fine!



Notare la statua del garibaldino posta alle spalle di Garibaldi

venerdì, ottobre 13, 2006

Misteri e storie di Venezia...

Riva de Biasio e il Macellaio Carnico
Riva de Biasio... un posto strano per Venezia: le sue storie, la nebbia di questi periodi e l`acqua del canale che sbatte contro la pietra bianca che sfuma nel verde delle alghe... alle volte sembra quasi la Londra fumigginosa e cupa di Sherlock Holmes...

C`è la nebbia anche stasera e un gatto solitario, un bel maschio dal pelo nero, par cercar tra il vapor leggero che sale l`hostaria di fronte alla Chiesa di San Simeone Grande, nel campo dove c`è un ospizio per povere... A due passi da qui sta la casa in cui bruciò vivo un bambino di cinque anni, figlio di uno di quei Tesseri di pani nel lontano 27 novembre del 1621. Poi ci fu la peste. Un secolo e mezzo dopo cadde un pezzo di soffitto della chiesa e poco ci mancò che ammazzasse la Nobil Donna Lucrezia Cappello. Su quella Riva morì pure la duchessa di Baviera Teresa Cunegonda....



I brividi, tra la nebbia, salgono a grumi lungo la schiena, ripensando a queste storie e riconoscendo nell`ombra le sagome brumose dei luoghi, delle case. Ma seguiamo il gatto. Salta sopra un muretto proprio là dove c`era l`Hostaria di Biagio Cargnio, un salcicciaio (luganegher) che dalle povere terre carniche era venuto a cercar fortuna nella ricca Serenissima.
Il gatto miagola e par volerci raccontare di una sera come questa, tra la bruma scura e spessa sulla riva, secoli fa. E una storia ancora più oscura striscia assiepandosi lungo le mura silenti e buie, in attesa di esser sciolta. Correva l`anno 1500, o giù di lì, e una signora rincasava tenendo per mano il suo bambino. Una svista e il piccolo monello le fuggì di mano, scomparendo tra la nebbia fredda.

Nel silenzio, il vento par portaci voci lontane.

- Biasio, ti xe ti?
- Sì.
- Te gà ancora uno de quei dolzeti cossì boni?
- Entra ne la hostarìa e ti lo gavarà.
- Mi no gò schei.
- Caro el mio putelo, oggi son de bon cor, xe la Festa de la Sensa e te vojo far un regalo, ti xe mingherlin …

Il gatto soffia, rizza il pelo: ha riconosciuto la voce del salsicciaio e del bambino. Ma poi si calma e nella bruma la storia prosegue, le voci morte si rincorrono.

- Cargnico, porteme un po` del tuo sguaseto.
- La comandi, paron. Col pan o la polenta?
- Fa` come ti vol. E un bon bicier de vin.
- Come i prosede i lavori a do pasi da San Simeon Grande?
- Ben, ma ghe xe da sudar. Ser Zuane vol che il palazo sia finìo entro la fin de l`ano.
- Mandelo in mona …
- Nol se pol!

Un urlo squarcia la notte, mentre la donna è già rientrata convinta che il figlio l`abbia preceduta. Ma no, il bimbo è lì, morto, sgozzato dal macellaio nell`hostaria dove, nel silenzio della nebbia, non c`era nessuno. Sembra quasi di vederlo: lo squarta,lo macella, lo fa a piccoli pezzi, divide la polpa, lo taglia a fette, getta le ossa.

"El sguaseto xe pronto per un`altra volta, carne in umido bella tenera: un ottimo intingolo" è Biasio che urla " Son schei son schei!"

E subito un altro urlo...

"E questa cossa xe? Una falange … con l`unghia … ne lo sguaseto?"

Sì, nella scodella del cliente c`era un dito: il cucchiaio non mente. L`uomo prende il pezzo e corre alla Quarantia Criminale. Le sparizioni dei bambini, la perquisizione della hostaria e nel retrobottega i resti dei ragazzi uccisi e non ancora utilizzati. Vent`anni di delitti senza i ritrovamenti dei corpi... e il gatto se ne va, sparendo tra la nebbia, lasciandoci con la storia dell`assassino più famoso di Venezia.

lunedì, ottobre 09, 2006

Misteri e storie di Venezia...

Il povero fornaretto

Correva il Febbraio del 1507. Era l`alba e all`angolo tra la calle della Mandola e il ponte degli Assassini c`erano ancora accesi i cesendoli (lampioni). Un giovane Fornaretto (fornaio), Pietro Tasca, si stava recando al lavoro quando, alla luce incerta delle lampade vide qualcosa brillare al suolo: era il fodero d`una spada, tutto scintillante e dorato. Pietro, che era, per l`appunto, un povero fornaretto, la raccolse con sè pensando di usarne le monete che ne sarebbero derivate per chiedere in sposa la sua bella Annetta di casa Barbo, ossia d`una casata nobiliare.

Poco più in là, dopo il ponte, scorse un mucchio di stracci al suolo. S`accostò e scoprì ch`era un uomo in fin di vita: era stato pugnalato ed era tutto coperto di sangue. Pietro si accucciò e ne prese il capo tra le mani a sorreggerlo, finchè questi non gli spirò tra le braccia. Fu allora che sì alzò e si scoperse tutto imbrattato del sangue del morto. Stava per dare l`allarme quando, sul far del giorno, di lì passaron due gendarmi. Vendendo il fornaretto in piedi lercio di sangue ed il morto a terra, subito bloccarono Pietro., il quale tentava in vano di spiegarsi.
I gendarmi esaminarono il morto: era un Nobile, era il Conte Guoro. Quindi esaminarono Pietro e, oltre al sangue del Conte, gli trovarono addosso il fodero dorato della spada con lo stemma nobiliare. Nonostante l`implorare di Pietro, lo arrestarono e a quell`ora per strada non c`era nessuno che potesse aver visto cosa era effettivamente accaduto.

Lo incarcerarono ai piombi con l`accusa di assassinio ai fini di rapina: e questo, a quei tempi, a Venezia voleva dire pena di morte, aggravata dal fatto che il morto fosse un Nobile. Lui contava e sperava nella giustizia, ma ai piombi, sotto le mani dei Babai (gli antichi Inquisitori della Serenissima), finì per confessare quello che non era stato, quello che non aveva fatto e nessuno venne in suo soccorso. La casata dei brbo tacque e, anzi, l`avversario politico di questi, sapendo il Fornaretto legato alla famiglia dalla storia con Annina, si levò a principale accusatore del povero Piero.

Fu condannato a morte e portato tra le due colonne di Piazzetta San Marco il 22 marzo 1507. Al patibolo lo aspettava il boia con la sua mannaia e dalla terrazza al secondo piano di Palazzo Ducale il Doge Loredan di levava in tutta la sua maestà.
Il Doge diede l`ordine e il boia calò la scure. "Giustizia è fatta!" sentenziò allora il doge, come da copione.
"Nooooo!" si levò allora un grido tra la folla. Era un servo di casa Barbo che si faceva largo tra la folla assiepata in piazza bestemmiando e imprecando con la notizia che Lorenzo Barbo, il padrone e padre dell`Annina, aveva confessato straziato dei rimorsi alla moglie di essere lui l`autore (o il mandate) dell`omicidio di Alvise Guoro.

La Serenissima, che da sempre reggeva la sua autorità sulle basi di una Giustizia giusta per tutti, come da sempre è per tutti i grandi paesi mercantili, si raggelò alla notizia.
Da quel giorno, ad ogni fine udienza processuale della Serenissima la frase che veniva detta era "Ricordeve del poaro fornareto" a monito di ingiuste condanne e sul lato della Basilica di San Marco che guarda verso Palazzo Ducale due fiaccole vengon accese ad ogni crepuscolo e spente ad ogni alba in memoria del Povero Fornaretto, proprio rivolte verso il posto dove s`ergeva il patibolo... così è dal 1507, in onore di Pietro, come a chieder scusa dell`incapacità dimostrata allora dagli Inquisitori di riuscir ad indagare più a fondo...



Le fiaccole accese di notte e spente di giorno.

martedì, ottobre 03, 2006

Misteri di Venezia...

Una madre salvata dalla figlia

Siamo in una notte di novembre del 1929, ossia in pieno dopoguerra, dalle parti di campo Ruga. Questi luoghi, un po` lontani dai sentieri turistici, si trovano in quel posto che si dice essere la coda del pesce "Venezia", e cioè dalle parti di San Pietro di Castello (non scordiamolo mai: primo duomo veneziano e, attualmente, unico campo in erba rimasto). E proprio dalla riva che entra in calle che va al sottoportico Zurlin (il sottoportico più basso di Venezia) inizia la nostra vicenda.

Quella notte nevicava mentre per la laguna passava una gondola. Al riparo del felze (ossia quella sorta di capottina che mettevano le gondole d`inverno) stava il dottore personale del vescovo, che ritornava a casa dopo aver prestato le sue cure.
All`altezza della riva che conduce alla calle del sottoportico Zurlin, il medico udì una voce: era una ragazza che gridava aiuto avvolta nel suo scialle nero, perchè sua madre stava male. Sorpreso che la ragazza avesse lo riconosciutocome dottore, prese comunque la sua borsa in cuoio e si affrettò a soccorrere la madre della ragazza. Entrò in una delle porte della corte interna e salì le scale. Là trovò una donna, che era stata in tempi andati al servizio presso di lui come domestica, ammalata di polmonite.



Il dottore fece di tutto per quella donna, complimentandosi di avere una figlia così premurosa: se la domanda d`aiuto fosse stata invocata anche la mattina dopo sarebbe stato troppo tardi.
Ma in quel momento la madre strabuzzò gli occhi: "Mia figlia? Ma è morta più di un mese fa!". Il dottore non voleva crederci e si girò, ma non vide più la ragazza. La madre, a prova che quello che diceva era vero, indicò al dottore di aprire l`armadio di fronte al letto per mostrargli le sue scarpe e il suo scialle. Il dottore riconobbe lo scialle nero che aveva visto addosso alla ragazza, che tuttavia, ora, era perfettamente asciutto.

sabato, settembre 30, 2006

Misteri di Venezia...

Campiello del Remer - Rialto -

Nei pressi del Ponte di Rialto, e più precisamente in Campiello del Remer, affacciandosi sulla riva lungo il Canal Grande si potrebbe assistere ad una scena agghiacciante: il corpo che affiora dall’acqua di Fosco Loredan con la testa di sua moglie Elena.

La vicenda si è svolta nel 1598.


Protagonisti della storia:
il doge di Venezia Marino Grimani ( zio della vittima),
la nipote Elena
il marito della nipote Fosco (uomo assai geloso)


Una sera mentre il doge passeggiava per la città, sentì una donna gridare: era inseguita da un uomo armato di spada. La donna fuggiva verso Campiello del Remer. Il Grimani intervenne tosto e, raggiunti i due, riconobbe la nipote e il marito di questa. Fosco giustificò il suo gesto dicendo che Elena lo aveva tradito.



La donna si difese sostenendo che la sua gelosia era infondata, dato che l’uomo, di cui il marito si mostrava geloso, era semplicemente suo cugino. Anche se la situazione sembrò acquietarsi, ad un tratto Fosco si scagliò contro la moglie e la decapitò ferocemente. Placata l`ira e preso dai rimorsi, si rivolse al doge chiedendogli quale dovesse essere il suo castigo.
Grimani gli rispose che doveva recarsi a Roma dal papa per avere l’assoluzione, ma doveva portare con sé il cadavere della moglie e la testa. Arrivato a Roma il pontefice non volle neppure riceverlo. Fosco ritornò a Venezia e recatosi nel luogo dove aveva commesso quell’atroce delitto si gettò nel Canal Grande. E’ da allora che il corpo di Fosco riemerge, tenendo tra le mani la testa di Elena…..

lunedì, settembre 25, 2006

Misteri e storie di Venezia...

El Casìn dei Spiriti...

A lato delle Fondamente Nove, nella zona vicino alla Madonna dell’Orto, si trova Palazzo Contarini dal Zaffo; del complesso fa parte il Casino degli spiriti, chiamato così perché da secoli ritenuto un luogo di ritrovo di spiriti irrequieti.
Sembra che di notte si vedano luci ondeggianti di candele, e si sentano suoni che si spandono nella laguna con una forte eco.




Secondo alcuni si ritiene che nei saloni del palazzo si tenessero delle cerimonie magiche, e che gli adepti di qualche setta facessero sedute spiritiche ed invocassero demoni.
Ma lo spirito più famoso, che infesta la casa, dicono sia quello di Luzzo pittore del “500, che in quelle stanza si incontrava con Giorgione, Tiziano, Sansovino. Luzzo è morto suicida per un amore non corrisposto da una delle amanti del Giorgione, Cecilia.


Tuttavia un`altra e oscura leggenda si lega a quel luogo:


Nel periodo seguente la seconda guerra mondiale Venezia, come nelle altre città italiane, viveva un brutto momento fatto di fame e miseria. In quegli anni era vivo il fenomeno del contrabbando di sigarette fatto di fughe e rincorse tra le barche della Finanza e le velocissime barchette blu a fondo piatto dei contrabbandieri locali.
Linda Cimetta era una donna che spesso arrivava a Venezia per comperarne un po’ e contrabbandarle a Belluno dove viveva col marito. In città non era ben vista perché si diceva facesse anche la prostituta. Dopo un po’ di lei non si seppe più nulla. La polizia indagò sulla sua scomparsa e venne a conclusione che Linda era stata vittima di un omicidio. Vennero pure trovati i colpevoli rei di averla uccisa con una scure, segata a pezzi, messa dentro un baule e gettata in mare.
In quei giorni alcuni ragazzi si tuffarono dalla riva delle Fondamente Nove e trovarono un baule pieno zeppo di seppie e granchi. Con la fame che c’era immaginatevi il parapiglia. E immaginatevi pure cosa successe quando tra una seppia e l’altra emerse il corpo fatto a pezzi di una donna. D’ora in poi nessun veneziano si sognerebbe mai di andare a pescare da quelle parti, vuoi per tradizione, rispetto, paura.

sabato, settembre 23, 2006

Misteri e storie di Venezia....

La Malcontenta e la sua Dama Bianca

Risalendo il Brenta, ad un certo punto, ci si imbatte in una celebre villa palladiana dallo strano nome: La Malcontenta.

Narra la leggenda che erano gli anni del Settecento veneziano quando una Nobildonna della famiglia Cornaro fu allontanata dalla propria famiglia in questa villa, in una sorta di esilio. La nobildonna, inffatti, era venuta a macchiarsi, in Venezia, di una vita dissoluta e libertina al punto di far pesar un po` troppo il capo al suo povero congiunto marito...

Tuttavia, allontanata dalla vita cortigiana e fastosa a cui era dedita, la Nobildonna non riusciva ad adattarsi alla quieta monotonia della vita in campagna, concludendo la propria esistenza in una malinconica depressione.
Da allora in molti giurano di aver visto aleggiare per il parco nella villa, nelle notti di luna nuova, l`ombra di una splendida donna dai capelli rossi, vestita di bianco: La Malcontenta!

venerdì, settembre 22, 2006

Misteri e storie di Venezia...

Ca` Dario. La Casa Maledetta!

Giovanni Dario, un dalmata di famiglia non nobile, cominciò la costruzione di uno dei più belli e particolari palazzi sul Canal Grande. Su disegno di Pietro Lombardi , ornato di marmi policromi, D`Annunzio lo descrisse sbilenco come una vecchia prostituta. Questo palazzo non ha mai goduto di una buona fama.
Il Giovanni andò ad abitarci con la figlia illegittima Marietta la quale sposò il nobile Vincenzo Barbaro. Cominciarono i primi guai: a Vincenzo andarono male gli affari, andò in rovina e Marietta morì di crepacuore.


Col passare degli anni il palazzo passò ad un ricco armeno, commerciante di pietre preziose. Anche lui dopo un po` di tempo andò in fallimento e, poco dopo, morì.
Nella metà dell` 800 un inglese andò ad abitarci: stessa storia. Andò in rovina e si suicidò. Stessa fine la fece il suo amante.

Passano gli anni e a Cà Dario ci abitò un ricco signore americano, per storie non chiare andò ad abitare in Messico dove il suo amante si suicidò.
Nel 1970 l`amante del conte proprietario del palazzo lo colpì alla testa. Fuggì a Londra e fu a sua volta assassinato.
Morì suicida anche il manager del complesso rock "the Who". Aveva da poco acquistato il palazzo.
Anni `80. Un uomo d`affari veneziano comprò il palazzo, solito tracollo degli affari e sua sorella fu trovata morta.

Tra i proprietari più recenti son figuarti anche Fabrizio Ferrari, che non ha fatto una bella fine... Anche Mario del Monaco era interessato a Cà Dario ma fu proprio un incidente stradale durante un viaggio per le trattative dell`acquisto, che gli fecero pensare che fosse stato meglio rinunciare all`acquisto.
Venne la volta di Raoul Gardini che, come tutti sapranno, era il proprietario di Cà Dario e del Moro di Venezia, la barca a vela da regata che voleva vincere la coppa del mondo. E come tutti sapranno morì suicida... da allora nessuno ha più voluto comprare questo palazzo, che ancora appartiene alla famiglia Gardini...
bbbrrrrrrrrrrr brividi e raccapriccio :P eppure a vederlo sembra così carino... innoquo!



ah! Narra la storia che tra i proprietari che si salvarono, in tempi recenti, spunta il nome di Woody Allen... qualcuno dice che fu perchè ne rimase proprietario per troppo poco tempo, sbarazzandosene subito, saputa la storia... ma i veneziani più spesso dicono che, in effetti, tra Woody Allen e Ca` Dario era una bella lotta a chi portava più sfiga! eheheheh



giovedì, settembre 21, 2006

Ricordo d`infanzia:

la mia ninnananna

Giusto l`altro giorno mi son ricordata della ninnananna che mi cantava il mio papy quand`ero piccola... la sera...L`ho ritrovata oggi...e ho sorriso a rileggerla... per me è un ricordo di bimba e spero non se la prenda nessuno... ma mio papà mi cantava questa canzone qui...

Cara Moglie
(Ivan Della Mea)


O cara moglie stasera ti prego
Dì a mio figlio che vada a dormire
Perchè le cose che io ho da dire
Non sono cose che deve sentir

Proprio stamane là sul lavoro
Con il sorriso del caposezione
Mi è arrivata la liquidazione
M`han licenziato senza pietà

E la ragione è perchè ho scioperato
Per la difesa dei nostri diritti
Per la difesa del mio sindacato
Del mio lavoro della libertà

Quando la lotta è di tutti per tutti
Il tuo padrone lo sai cederà
E se lui vince è perchè i crumiri
Gli dan la forza che lui non ha

Questo si è visto davanti ai cancelli
Noi si chiamava i compagni alla lotta
Ecco il padrone fa un cenno una mossa
Un dopo l`altro cominciano a entrar

O cara moglie dovevi vederli
Venire avanti curvati e piegati
E noi a gridare "crumiri venduti"
E loro dritti senza guardar

Quei poveretti facevano pena
Ma dietro a loro là sul portone
Rideva allegro il porco padrone
Li ho maledetti senza pietà

O cara moglie io prima ho sbagliato
Dì a mio figlio che venga a sentire
Che ha da capire che cosa vuol dire
Lottare per la libertà

...poi la gente si chiede perchè son cresciuta
così...

martedì, settembre 19, 2006

Venezia... la mia perla!



Io sto in un paesino piccolo piccolo che la sera si vedono le stelle. Torre di Mosto.
Sto in un paesino rinchiuso tra campi di mais e vigneti e campi di soia.
Sto in un paesino che era Palude e dove i contadini,
scappando dagli eserciti, si son rifugiati secoli orsono,
tra canne e zanzare, pur di vivere in pace... chè la guerra qui non arrivava...
In un'isola che si chiamava Melidissa...





Ma la mia città sta poco più in là, verso dove il sole muore. Venezia.
E' una città nata nel medesimo modo in cui nacque il mio paesino:
si narra che venivano gli Unni e i contadini fuggivano verso la laguna, oltre le paludi,
in quelle isole tra terra e mare in cui solo loro conoscevano le vie
per non affondare o rimaner incagliati nel fango.

L`unica città medievale senza mura in tutta Europa.


E` la citta che visse d`amore e commercio,
mentre nel resto d`Italia si moriva di guerre e carestie.

Ora ha un fascino decadente, tutto suo, della grande Cortigiana d`un tempo:
con il suo trucco abbondante e i merletti consunti
che molle se ne sta stesa in braccio al suo mare, che mare non è...

Eppure la sua malìa senza tempo incanta chiunque le capiti in seno.
La scaltra e vecchia maliarda ha saputo frenare il tempo, assopirsi in un limbo sospeso...
Non ci sono auto, nè smog, nè semafori... solo barche, barconi, vaporetti
Non ci sono grattacieli, tram, metrò... solo ponti, Fonteghi e campielli
I bambini giocano a palla per strada e l`unico pericolo è che finisca in acqua
Per le vie e per le piazze, che vie e piazze non si chiamano , c`è il mercato permanente
dove le vecchierelle scendono sc`iabattando tranquille tra le orde di turisti,
e anche le barche, ormeggiate in bordo ai canali, son riadattate a bancarelle di verdura e frutta dall`animo mercantile mai morto nè mai domato di questa gente...

Gente che vive, sospesa nel tempo, in questa città decadente, fatua e magnifica
che è bella quando c`è il sole, che è bella quando piove
che è bella sotto la nebbia, che è bella sotto la neve...

Gente che vive in questa città che non si conosce mai del tutto,
che ha una storia nascosta ad ogni angolo...

Gente che vive nella città che fu di grandi navigatori e sognatori ed amatori ed artisti,
dove nel cuore ha le cupole verdi e l`oro di San Marco che risplende acceso...

Di questa città mi piacerebbe raccontarvi le storie...

lunedì, settembre 18, 2006

La chiamerò Loona .1.


Da tempo gioco in una comunità virtuale (extremelot prima e dreamalot poi), a fine agosto erano orami 5 anni. Beh mi son decisa di mettere per iscritto la storia del personaggio di cui da 5 anni muovo i fili: l'elfa Loona. Spero vi piacerà.



Parte prima - Gli Inizi

1. Tutto inizia – Il ritrovamento

Era una notte tiepida e chiara di metà primavera. La luna splendeva alta nel cielo, illuminando piena gli aghi scuri dei pini dormienti, nella vasta foresta del nord. A Elanor risultava piacevole l’andare per quei sentieri nascosti e solitari, bagnati dalla luce lunare. Il silenzio tutto d’attorno, della natura assopita, era interrotto a malapena dal frinire di qualche piccolo insetto notturno o dallo strisciar, nell’ombra, di quegli esseri che vivon la notte e dormono il giorno. Il solitario vagabondaggio, nel pien del bosco quieto, si accompagnava facilmente a pensieri limpidi e grandi, che quasi si potevano toccare, e a ricordi del tempo trascorso, tanto vivi da sembrar presenti e mai passati.


Elanor andava riflettendo sulla strada che l’aveva condotta a quel bosco. Tirava una boccata di fumo dalla sua pipa, con la brace che s’accendeva di rosso nell’ombra del bosco, e rimuginava sui giorni trascorsi d’appena e su quelli da lungi andati, da quando aveva lasciato il suo villaggio per amor d’avventura. I suoi piccoli piedi pestavano il sottobosco muschioso e zitto, mentre tutto di lei era assorto nel figurarsi alla mente il giorno in cui, sacco in spalla, aveva salutato Val di Sole e s’era messa in marcia, aggregandosi ad un gruppo di zingari. I primi tempi non furono affatto facili e quelli a seguire ancor meno. Quand’era partita, tradita dall’indole sua impulsiva, non si era soffermata forse abbastanza su quel che voleva dire una vita vagabonda. Lei, poi! Sempre abituata entro i placidi confini della sua verde e bella valle, nel meridione.


“Ma ti sei del tutto ammattita?!?” le aveva urlato Pizzina, mentre la rincorreva per i cunicoli di casa, impedendole di far i bagagli, per quanto poteva “ma quando mai s’è sentito d’una nanetta predere e partirsene per il mondo! Con quella gentaglia poi! Non li conosci nemmeno…”
“Sì che li conosco… li conosco quanto serve conoscerli!” aveva tentato di protestare lei.
“Ma fammi il piacere!” aveva ripreso Pizzina, che non sentiva ragioni “Tu, sola, con quelli in giro per il mondo! E dove dormirai? Cosa mangerai? E poi! Partire così, senza nemmeno avvisare i tuoi… aspettali almeno.. avvertili… Elanor!!! Ma mi stai a sentire?!?”
Se la ricordava talmente bene Pizzina, tutta rossa in viso e con le treccione bionde che sbattevano a destra e a manca contro gli usci e i mobili, mentre le girava attorno come una trottola, nel tentativo di dissuaderla. E lei, Elanor, rimaneva convinta e decisa: “Ho detto che parto e partirò! Mi rifiuto di morire in questo buco sperduto senz’aver messo il naso fuori. E no, non posso aspettarli o non schioderò mai! Figurati! A lavorar come nonna vogliono mettermi! Ma scherziamo?!? A ingobbirmi e rovinarmi le mani!!! Aaaaah! Non se ne parla!”
“Degna nipote di tuo nonno sei! Testoni uguali siete! Mai che vi si possa far ragionare! Un’idea vi fissate in testa e quella resta! - brontolava l’amica e poi riprendeva con tono supplichevole- Elanor, ti prego! Fermati un attimo a pensarci: Valle di Sole! Stai per lasciare Valle di Sole! Con i suoi campi belli e coltivati, gli usci colorati e bassi ad ogni pietra, i giardini fioriti, le siepi…”
“Siepi! –aveva tuonato- Ecco! Confini e limiti… non voglio rinchiudermi! Voglio vedere tutto quel mondo oltre Valle di Sole, dove non ci sono siepi e si respira la libertà!” ed era praticamente fuggita di casa, con Pizzina disperata che non sapeva a che santo votarsi e che sperava, in tutto cuore, che la follia dell’amica sarebbe terminata in tempi brevi.


Elanor sorrideva all’idea: tempi brevi non eran certo stati! Dopo quattro mesi era tornata a casa, ma ne era ripartita nel giro di quindici giorni. E così qualche altra volta, tuttavia il tempo che rimaneva a Valle di Sole si riduceva sempre più e l’intervallo tra una rimpatriata e l’altra diventava sempre più lungo. Le era cresciuto in cuore l’amore per i viaggi, per i posti nuovi. La prima compagnia di vagabondi l’aveva iniziata alla vita di strada e lei se ne era innamorata. Dopo quattro mesi era ritornata non tanto per nostalgia, quanto per vedere come stavano i suoi: si sentiva un po’ in colpa per il modo in cui li aveva abbandonati. Erano bastati, però, pochi giorni a farle rimpiangere la vita randagia di tutto cuore!
Già da trent’anni non metteva più piede a Valle di Sole e la cosa non le dispiaceva più di tanto. In fondo i viandanti per via le portavano notizia della sua terra, di quando in quando, e questo le bastava. Per strada s’era unita, di volta in volta, a diversi gruppi di girovaghi e, ultimamente, aveva scoperto il piacere di viaggiar anche sola. Si domandava, tuttavia, come poteva essere, ora, la faccia di Pizzina e dei figli che sicuramente aveva avuto. Si domandava chi poteva aver sposato e si sorprendeva a domandarsi quando e se anche lei avrebbe mai scoperto le gioie domestiche, tanto osannate a Valle di Sole.


D’un tratto lo scorrer dei pensieri venne interrotto: qualcosa turbava il silenzio placido della notte di primavera. Le orecchie tozze della nana vibrarono un poco e lei si fermò di colpo, aggrottò le sopracciglia folte e corrucciò la fronte in un’espressione attenta e dubbiosa: supponeva d’essersi confusa e, nel suo riflettere, d’aver inteso altro, rispetto a quanto s’udiva. No, no! Non si era sbagliata: era proprio un pianto quello che tagliava la pace della foresta e un pianto disperato.
Si guardò intorno e si rese conto che, passeggiando assorta e pensosa, aveva perso la cognizione di dov’era e smarrito l’orientamento: in sostanza si era persa!
Un moto di stizza la colse: “Dannazione! –brontolò- Persa, in mezzo ad un bosco, in piena notte e pure con qualcuno che piange! Aaaaah! Dannazione dannazione! –poi al disappunto subentrò la curiosità- ma chi è che piange? –e ripetè più forte- Hey! Chi va là? Chi piange?”
Nessuno rispose, solo continuava il pianto disperato. Elanor si mosse, quindi, attraverso gli sterpi, in direzione di dove sentiva singhiozzare. Donna di mondo e resa poco avezza, dal viaggio, al parlar forbito, imprecava ad ogni ramo che le strisciava addosso, ora che stava fuori dal sentiero battuto, e borbottava minacciosa contro ogni ragnatela che le appiccicava il viso. Il tutto veniva sbiascicato a mezza bocca, perchè badava bene di non perder la sua pipa che, ostinatamente, teneva tra i denti attraversando il fitto della macchia.


Più si addentrava nel fitto, più il pianto pareva farsi prossimo, più il senso di oppressione, datole dai tronchi rugosi e scuri tutti vicini, dall’erba alta e pruriginosa, dal pungitopo avvolto di ragnatele e pizzicoso, la irritava. “Ma santa patata! –sbraitò d’un tratto, levandosi con la mano tozza l’ennesimo insetto che sentiva scorrerle giù per la nuca- bestiac..” e la pipa le cadde di labbro un poco più in là, oltre il cespuglio che si apprestava a guadare. Il pianto si interruppe di botto, quasi impaurito dal vociar tirannico della nana. Elanor si fece largo, quindi, tra gli ultimi sterpi, uscendone con i capelli scuri e crespi che avevan fatto incetta di foglie e rametti e parevan un cespuglio a loro volta. Non si fermò nemmeno a raccoglier la pipa che le stava praticamente accanto ai piedi, ma alzò i piccoli pugni goffi a stropicciarsi gli occhi.


Stava, in mezzo ad uno spiazzo sgombro e indorato dalla luna bianca, tra gli alti pini scuri, una cesta che pareva brillar d’argento. Elanor rimase ferma, dapprima, incerta, sollevandosi sulle punte dei piedi a veder che vi fosse nella cesta e tendendo le orecchie ad ascoltar se qualora si fosse udito qualcosa di nuovo. Non si mosse foglia e tutto sembrava esser piombato in un silenzio totale, a tratti inquietante. La nana inghiottì un grumo di saliva, raccolse la pipa, cercando di darsi un po’ di coraggio, e s’accostò alla cesta.
Due occhioni grigi ed arrossati la fissavano da dentro il canestro, tutti timorosi: una piccola creatura stava lì, stringendo forti i pugni alle labbra tremule, avvolta in un panno scuro.