lunedì, settembre 18, 2006

La chiamerò Loona .1.


Da tempo gioco in una comunità virtuale (extremelot prima e dreamalot poi), a fine agosto erano orami 5 anni. Beh mi son decisa di mettere per iscritto la storia del personaggio di cui da 5 anni muovo i fili: l'elfa Loona. Spero vi piacerà.



Parte prima - Gli Inizi

1. Tutto inizia – Il ritrovamento

Era una notte tiepida e chiara di metà primavera. La luna splendeva alta nel cielo, illuminando piena gli aghi scuri dei pini dormienti, nella vasta foresta del nord. A Elanor risultava piacevole l’andare per quei sentieri nascosti e solitari, bagnati dalla luce lunare. Il silenzio tutto d’attorno, della natura assopita, era interrotto a malapena dal frinire di qualche piccolo insetto notturno o dallo strisciar, nell’ombra, di quegli esseri che vivon la notte e dormono il giorno. Il solitario vagabondaggio, nel pien del bosco quieto, si accompagnava facilmente a pensieri limpidi e grandi, che quasi si potevano toccare, e a ricordi del tempo trascorso, tanto vivi da sembrar presenti e mai passati.


Elanor andava riflettendo sulla strada che l’aveva condotta a quel bosco. Tirava una boccata di fumo dalla sua pipa, con la brace che s’accendeva di rosso nell’ombra del bosco, e rimuginava sui giorni trascorsi d’appena e su quelli da lungi andati, da quando aveva lasciato il suo villaggio per amor d’avventura. I suoi piccoli piedi pestavano il sottobosco muschioso e zitto, mentre tutto di lei era assorto nel figurarsi alla mente il giorno in cui, sacco in spalla, aveva salutato Val di Sole e s’era messa in marcia, aggregandosi ad un gruppo di zingari. I primi tempi non furono affatto facili e quelli a seguire ancor meno. Quand’era partita, tradita dall’indole sua impulsiva, non si era soffermata forse abbastanza su quel che voleva dire una vita vagabonda. Lei, poi! Sempre abituata entro i placidi confini della sua verde e bella valle, nel meridione.


“Ma ti sei del tutto ammattita?!?” le aveva urlato Pizzina, mentre la rincorreva per i cunicoli di casa, impedendole di far i bagagli, per quanto poteva “ma quando mai s’è sentito d’una nanetta predere e partirsene per il mondo! Con quella gentaglia poi! Non li conosci nemmeno…”
“Sì che li conosco… li conosco quanto serve conoscerli!” aveva tentato di protestare lei.
“Ma fammi il piacere!” aveva ripreso Pizzina, che non sentiva ragioni “Tu, sola, con quelli in giro per il mondo! E dove dormirai? Cosa mangerai? E poi! Partire così, senza nemmeno avvisare i tuoi… aspettali almeno.. avvertili… Elanor!!! Ma mi stai a sentire?!?”
Se la ricordava talmente bene Pizzina, tutta rossa in viso e con le treccione bionde che sbattevano a destra e a manca contro gli usci e i mobili, mentre le girava attorno come una trottola, nel tentativo di dissuaderla. E lei, Elanor, rimaneva convinta e decisa: “Ho detto che parto e partirò! Mi rifiuto di morire in questo buco sperduto senz’aver messo il naso fuori. E no, non posso aspettarli o non schioderò mai! Figurati! A lavorar come nonna vogliono mettermi! Ma scherziamo?!? A ingobbirmi e rovinarmi le mani!!! Aaaaah! Non se ne parla!”
“Degna nipote di tuo nonno sei! Testoni uguali siete! Mai che vi si possa far ragionare! Un’idea vi fissate in testa e quella resta! - brontolava l’amica e poi riprendeva con tono supplichevole- Elanor, ti prego! Fermati un attimo a pensarci: Valle di Sole! Stai per lasciare Valle di Sole! Con i suoi campi belli e coltivati, gli usci colorati e bassi ad ogni pietra, i giardini fioriti, le siepi…”
“Siepi! –aveva tuonato- Ecco! Confini e limiti… non voglio rinchiudermi! Voglio vedere tutto quel mondo oltre Valle di Sole, dove non ci sono siepi e si respira la libertà!” ed era praticamente fuggita di casa, con Pizzina disperata che non sapeva a che santo votarsi e che sperava, in tutto cuore, che la follia dell’amica sarebbe terminata in tempi brevi.


Elanor sorrideva all’idea: tempi brevi non eran certo stati! Dopo quattro mesi era tornata a casa, ma ne era ripartita nel giro di quindici giorni. E così qualche altra volta, tuttavia il tempo che rimaneva a Valle di Sole si riduceva sempre più e l’intervallo tra una rimpatriata e l’altra diventava sempre più lungo. Le era cresciuto in cuore l’amore per i viaggi, per i posti nuovi. La prima compagnia di vagabondi l’aveva iniziata alla vita di strada e lei se ne era innamorata. Dopo quattro mesi era ritornata non tanto per nostalgia, quanto per vedere come stavano i suoi: si sentiva un po’ in colpa per il modo in cui li aveva abbandonati. Erano bastati, però, pochi giorni a farle rimpiangere la vita randagia di tutto cuore!
Già da trent’anni non metteva più piede a Valle di Sole e la cosa non le dispiaceva più di tanto. In fondo i viandanti per via le portavano notizia della sua terra, di quando in quando, e questo le bastava. Per strada s’era unita, di volta in volta, a diversi gruppi di girovaghi e, ultimamente, aveva scoperto il piacere di viaggiar anche sola. Si domandava, tuttavia, come poteva essere, ora, la faccia di Pizzina e dei figli che sicuramente aveva avuto. Si domandava chi poteva aver sposato e si sorprendeva a domandarsi quando e se anche lei avrebbe mai scoperto le gioie domestiche, tanto osannate a Valle di Sole.


D’un tratto lo scorrer dei pensieri venne interrotto: qualcosa turbava il silenzio placido della notte di primavera. Le orecchie tozze della nana vibrarono un poco e lei si fermò di colpo, aggrottò le sopracciglia folte e corrucciò la fronte in un’espressione attenta e dubbiosa: supponeva d’essersi confusa e, nel suo riflettere, d’aver inteso altro, rispetto a quanto s’udiva. No, no! Non si era sbagliata: era proprio un pianto quello che tagliava la pace della foresta e un pianto disperato.
Si guardò intorno e si rese conto che, passeggiando assorta e pensosa, aveva perso la cognizione di dov’era e smarrito l’orientamento: in sostanza si era persa!
Un moto di stizza la colse: “Dannazione! –brontolò- Persa, in mezzo ad un bosco, in piena notte e pure con qualcuno che piange! Aaaaah! Dannazione dannazione! –poi al disappunto subentrò la curiosità- ma chi è che piange? –e ripetè più forte- Hey! Chi va là? Chi piange?”
Nessuno rispose, solo continuava il pianto disperato. Elanor si mosse, quindi, attraverso gli sterpi, in direzione di dove sentiva singhiozzare. Donna di mondo e resa poco avezza, dal viaggio, al parlar forbito, imprecava ad ogni ramo che le strisciava addosso, ora che stava fuori dal sentiero battuto, e borbottava minacciosa contro ogni ragnatela che le appiccicava il viso. Il tutto veniva sbiascicato a mezza bocca, perchè badava bene di non perder la sua pipa che, ostinatamente, teneva tra i denti attraversando il fitto della macchia.


Più si addentrava nel fitto, più il pianto pareva farsi prossimo, più il senso di oppressione, datole dai tronchi rugosi e scuri tutti vicini, dall’erba alta e pruriginosa, dal pungitopo avvolto di ragnatele e pizzicoso, la irritava. “Ma santa patata! –sbraitò d’un tratto, levandosi con la mano tozza l’ennesimo insetto che sentiva scorrerle giù per la nuca- bestiac..” e la pipa le cadde di labbro un poco più in là, oltre il cespuglio che si apprestava a guadare. Il pianto si interruppe di botto, quasi impaurito dal vociar tirannico della nana. Elanor si fece largo, quindi, tra gli ultimi sterpi, uscendone con i capelli scuri e crespi che avevan fatto incetta di foglie e rametti e parevan un cespuglio a loro volta. Non si fermò nemmeno a raccoglier la pipa che le stava praticamente accanto ai piedi, ma alzò i piccoli pugni goffi a stropicciarsi gli occhi.


Stava, in mezzo ad uno spiazzo sgombro e indorato dalla luna bianca, tra gli alti pini scuri, una cesta che pareva brillar d’argento. Elanor rimase ferma, dapprima, incerta, sollevandosi sulle punte dei piedi a veder che vi fosse nella cesta e tendendo le orecchie ad ascoltar se qualora si fosse udito qualcosa di nuovo. Non si mosse foglia e tutto sembrava esser piombato in un silenzio totale, a tratti inquietante. La nana inghiottì un grumo di saliva, raccolse la pipa, cercando di darsi un po’ di coraggio, e s’accostò alla cesta.
Due occhioni grigi ed arrossati la fissavano da dentro il canestro, tutti timorosi: una piccola creatura stava lì, stringendo forti i pugni alle labbra tremule, avvolta in un panno scuro.

Nessun commento: