lunedì, ottobre 09, 2006

Misteri e storie di Venezia...

Il povero fornaretto

Correva il Febbraio del 1507. Era l`alba e all`angolo tra la calle della Mandola e il ponte degli Assassini c`erano ancora accesi i cesendoli (lampioni). Un giovane Fornaretto (fornaio), Pietro Tasca, si stava recando al lavoro quando, alla luce incerta delle lampade vide qualcosa brillare al suolo: era il fodero d`una spada, tutto scintillante e dorato. Pietro, che era, per l`appunto, un povero fornaretto, la raccolse con sè pensando di usarne le monete che ne sarebbero derivate per chiedere in sposa la sua bella Annetta di casa Barbo, ossia d`una casata nobiliare.

Poco più in là, dopo il ponte, scorse un mucchio di stracci al suolo. S`accostò e scoprì ch`era un uomo in fin di vita: era stato pugnalato ed era tutto coperto di sangue. Pietro si accucciò e ne prese il capo tra le mani a sorreggerlo, finchè questi non gli spirò tra le braccia. Fu allora che sì alzò e si scoperse tutto imbrattato del sangue del morto. Stava per dare l`allarme quando, sul far del giorno, di lì passaron due gendarmi. Vendendo il fornaretto in piedi lercio di sangue ed il morto a terra, subito bloccarono Pietro., il quale tentava in vano di spiegarsi.
I gendarmi esaminarono il morto: era un Nobile, era il Conte Guoro. Quindi esaminarono Pietro e, oltre al sangue del Conte, gli trovarono addosso il fodero dorato della spada con lo stemma nobiliare. Nonostante l`implorare di Pietro, lo arrestarono e a quell`ora per strada non c`era nessuno che potesse aver visto cosa era effettivamente accaduto.

Lo incarcerarono ai piombi con l`accusa di assassinio ai fini di rapina: e questo, a quei tempi, a Venezia voleva dire pena di morte, aggravata dal fatto che il morto fosse un Nobile. Lui contava e sperava nella giustizia, ma ai piombi, sotto le mani dei Babai (gli antichi Inquisitori della Serenissima), finì per confessare quello che non era stato, quello che non aveva fatto e nessuno venne in suo soccorso. La casata dei brbo tacque e, anzi, l`avversario politico di questi, sapendo il Fornaretto legato alla famiglia dalla storia con Annina, si levò a principale accusatore del povero Piero.

Fu condannato a morte e portato tra le due colonne di Piazzetta San Marco il 22 marzo 1507. Al patibolo lo aspettava il boia con la sua mannaia e dalla terrazza al secondo piano di Palazzo Ducale il Doge Loredan di levava in tutta la sua maestà.
Il Doge diede l`ordine e il boia calò la scure. "Giustizia è fatta!" sentenziò allora il doge, come da copione.
"Nooooo!" si levò allora un grido tra la folla. Era un servo di casa Barbo che si faceva largo tra la folla assiepata in piazza bestemmiando e imprecando con la notizia che Lorenzo Barbo, il padrone e padre dell`Annina, aveva confessato straziato dei rimorsi alla moglie di essere lui l`autore (o il mandate) dell`omicidio di Alvise Guoro.

La Serenissima, che da sempre reggeva la sua autorità sulle basi di una Giustizia giusta per tutti, come da sempre è per tutti i grandi paesi mercantili, si raggelò alla notizia.
Da quel giorno, ad ogni fine udienza processuale della Serenissima la frase che veniva detta era "Ricordeve del poaro fornareto" a monito di ingiuste condanne e sul lato della Basilica di San Marco che guarda verso Palazzo Ducale due fiaccole vengon accese ad ogni crepuscolo e spente ad ogni alba in memoria del Povero Fornaretto, proprio rivolte verso il posto dove s`ergeva il patibolo... così è dal 1507, in onore di Pietro, come a chieder scusa dell`incapacità dimostrata allora dagli Inquisitori di riuscir ad indagare più a fondo...



Le fiaccole accese di notte e spente di giorno.

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